Quando arriverai non portarmi regali: io di solito non ne faccio e non mi voglio trovare con le mani in mano, impacciata, senza sapere dove guardare.

Fai come se ci conoscessimo da sempre: salutami come si baciano quelli che si conoscono da tanto, con un abbraccio sincero, intimo, pieno dei ricordi che ancora non abbiamo.

Sii galante, aprimi le porte e ricordami perché mi piacciono così tanto gli uomini del Sud.

Portami in un posto dove Milano non è Milano.

Portami dove si mangia piano e lo spazio per due è spazio per due, non il solito quadrato di formica ritagliato e metà per farci stare più coperti.

Portami dove si parla piano, ma dove mi sembrerà lo stesso naturale chinarmi verso di te per capire quello che dici.

Portami dove si mette l’olio sul pane, senza che suoni strano, dove si mangiano i panini di mare con tartare di tonno e burratina, che qui è una roba mai vista.

Portami dove i miei tacchi non avranno il suono di feroci punti esclamativi piantati nell’asfalto.

Portami dove si rallenta, dove ci si guarda negli occhi e non si ha paura di stare un attimo in silenzio, dove non c’è gente in piedi, con l’orecchio infilato nel telefono.

Spegni anche il tuo e non lo mettere neanche sul tavolo, perché lo so che finiresti per guardarlo.

Portami dove possiamo mettere in tavola anche il nostro imbarazzo, perché alla fine è vero che non ci conosciamo.

Portami in un posto con qualcosa appeso alle pareti, così posso fissare un attimo i muri mentre tu sbirci nella mia scollatura e io faccio finta di non essermene accorta.

Portami dove si mangia, ma si mangia davvero, anche con le mani, senza il timore che non vada bene.

Portami in un posto dove mi darai da bere versando il vino esattamente a metà bicchiere, non troppo e neanche troppo poco. Il giusto, come per le relazioni che funzionano.

Portami a mangiare qualcosa che non so: spiegami come viene fatto, raccontami che dalle tue parti è normale, fammi assaggiare quello che non so della tua terra e della tua vita, che da dove vengo io al massimo cucinano il riso coi piselli.

Che emotività vuoi che abbia una che tra le ricette tramandate ha il riso coi piselli? Risi e bisi si chiama da noi.

Sono figlia di una cucina senza fantasia, un uomo come te ha tutto da insegnarmi.

Trova una scusa per imboccarmi, per dirmi “assaggia questo” e passarmi la tua forchetta tra i denti, sulla lingua, come i baci che non ci siamo ancora dati. Fammi assaggiare un po’ di te, del tuo sapore lasciato sui rebbi, mentre facciamo finta di non averci fatto caso.

Dimmi “si mangia così” e ridi di me quando sbaglio o faccio le facce strane mentre mi lascio prendere dai sapori.
Ci accorgeremo con un sorriso che le nostre gambe si stanno toccando, vicine vicine, sotto il tavolo.

Sarà bello.

Prendimi in giro perché non sono mai venuta dalle tue parti e chiedimi perché.
Non ho mai girato il mondo, ho sempre vissuto troppo poco. Sarà per questo che mi piace ascoltare la gente raccontare di sé.

Non cercare di farmi ubriacare, reggo il vino meglio di te.
Tu sarai del Sud, ma io ho coriacee origini venete.

Ti chiederò di parlarmi in dialetto, tu non lo sai ma mi piace che succeda anche a letto, quando si fa l’amore.

Il cibo, come le parole, sono piene di sapore.

Ordina tu, scegli per me, fammi sentire fuori luogo, e riportami per mano dove non so.
Fammi entrare nella tua terra, nelle tue stanze come faresti se fossimo a casa tua, soli.

Ordina anche il caffè. A me quello piace amaro.

Chissà, forse sarà l’inizio di qualcosa che non deve accadere. Ferma il tempo in questa Milano sempre di corsa che non respira.

Che ne sanno i milanesi di come si fa l’amore?

Portami via, sdraiami su un lenzuolo, a rotolarci tra parole e briciole.
Mordimi e senti quanto mi ha fatta salata il tempo.
Sbagliamo tutto come nelle migliori storie, dove anche le cose più ovvie finiscono col diventare stanche.

Collezioniamo messaggi a distanza, sospiri e sesso furioso, fatto di corsa, quasi disperati, senza trovarci un senso e senza volergliene dare. Rubiamo attimi alle nostre agende e infiliamoci dentro incontri clandestini tra uffici e corsi di aggiornamento. Inventiamo viaggi di lavoro solo per vederci.

Bastiamoci per una sera appena e ricominciamo un po’ più in là. Senza aspettative.
Senza dare un indirizzo a questa cosa.

Poi a un certo punto chiederemo il conto, l’uno all’altra. E magari ti farò pagare anche quello che mi hanno fatto gli altri, chissà.

Ma per ora è bello così, mentre mi guardi, sorridi, mastichi e fissarti le labbra non è fuori luogo.

Portami in quel locale che ha appena aperto, dove Milano non è più Milano, ma è un po’ più a sud.

Chissà che non sia un inizio anche per noi.

Allora: quando mangiamo qualcosa insieme?

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