È passato un sacco di tempo.

Troppo.

Avevo 26 anni.

L’ultima volta mi ha vista quando ancora ero bella.

Abbasso le tapparelle e faccio penombra nella stanza.

Una volta facevano l’amore davanti a finestre che nemmeno avevano le tende.

Che ci vuoi fare: la maternità mi ha regalato capelli bianchi e un sacco di imbarazzi.

Chili di troppo di cui mi vergogno nonostante sia la prima a predicare che si va bene così com’è. In realtà non è vero: quando l’uomo che hai di fronte ti ha scopata quando avevi la pancia piatta e un culo che parlava, hai poco da raccontargli.

Ci abbracciamo ancora vestiti. Anche lui è invecchiato un po’, ma le calvizie lo salvano dai capelli bianchi che porta rasatissimi. Solo quel po’ di baffi fanno vedere un po’ di peluria, ma tanto è sempre stato chiaro. È andata peggio a me a dire il vero.

Però ho fatto più vita. Più cambiamenti.
Mi sono piazzata da sola due bombe nell’esistenza.
Ho provato i dolori atroci del parto facendomi due giri della morte all’inferno.

A te com’è andata?
A parte scrivere, che hai fatto?

Ci guardiamo occhi negli occhi.

Ce li ha blu. Curiosi. Guizzano da una parte all’altra del volto in cerca di non so cosa, forse delle storie nascoste tra le mie rughe, no so.

-Sono un po’ invecchiata eh!
-Non dire cavolate. Invecchiassero tutti come te!
Si, ma gli anni non perdonano.

Già, non perdonano una ex taglia quaranta che ora è una 44 e non è più tonica e atletica come te la ricordi.

Quante volte hai rifatto l’amore col ricordo perfetto di me?
Quante volte mi hai rimessa stesa coi miei vent’anni e le poche cose che avevo fatto nella vita?

Io invece ti ho cercato su Google per aggiornare l’emozione di te.
Ho cercato le foto e visto quanta strada ha fatto la tua faccia.
Con voi uomini il tempo è sempre più clemente. Vai a sapere perché.

Ci assaggiamo di baci.
Sa di buono.

Fa strano baciare qualcuno dopo che non lo fai da tempo. Dopo che ci si è stropicciati d’amore per anni e poi più nulla, così, senza motivo.

– Com’è che non ci siamo più visti?
– La sfiga!
Giuro, non ho risposte migliori.

Perché è così. Tu ti sei trasferito, ti sei innamorato, sei tornato nella tua città. Non ero io l’amore della tua vita ma un’altra da fare felice. Un’altra con cui condividere letto e progetti.

Non sei ricapitato qui.
Io ho fatto figli. Due. E ho passato il tempo in minuziosa attesa di cambiare in peggio per vedere l’effetto che faccio.

Ride di me. Di noi. Di quello che siamo adesso, impacciati, sul mio ex letto nuziale.

– Ma da quanto sei sola?
– Divorziata da due anni. Ma coi bambini è un casino.
– Non mi hai mai fatto vedere foto.

Non faccio vedere foto dei miei figli a quelli che mi scopo! Poi vi passa la voglia.
Hai già fatto l’amore con una mamma? Si, figurati, ti sarà capitato.
Il fatto è che adesso lo sono anch’io.

Quanta diversità ci troverai ora? Ora che ho fatto questo salto enorme, che ho stravolto la mia vita da sopra a sotto.

Lui non ha figli. Credo che ne abbiano parlato una volta ma poi più nulla.

Non mi ha mai dato l’impressione di avere la necessità di moltiplicarsi.
Come se bastasse a se stesso tutta questa personalità.

Del resto non ce lo vedrei la notte, in piedi, a cambiare pannolini.

-Come sono?
-Tu ancora figo.

Ride.

-No, i piccoli.
-Ti spiace se parliamo di qualcosa di sexy? Non so… della mia collezione di vibratori?

Sgrana gli occhi

-Hai una collezione di vibratori?
-Eh, si.

Mi hai lasciata scrittrice di racconti erotici, mi ritrovi sex blogger.

-Beh, a te mandano i libri, a me i vibratori!
-Vedere!
-No che non ho fatto la polvere allo scaffale!

Ed è vero, lui pensa che sia uno scherzo, ma ho lì in bella mostra i miei trenta vibratori. Me ne mandano un sacco da provare, e io, diligente, li testo tutti.

-Ma quindi quando sei sola…
-Mica solo quando sono sola.

Ce li ho da anni.

-E li testi?
-Esattamente.
-Ma poi dici loro cosa fare e loro li migliorano?
-Beh non sono così autorevole ma conoscendoli immagino che tengano in considerazione le opinioni del target.
-Meraviglioso! Cioè, ma voglio cambiare lavoro anch’io! Altro che libri!
-Lo dicono tutti! Oh, ve li dovete sudare! Io è da anni che scrivo sui blog per farmi un nome!

Ed è da anni che riempio con dovizia di particolari racconti veri di amori che poi se ne vanno. Come hai fatto tu.

Ma che in qualche modo mi sono rimasti qui. Nel cuore.

Che parte occupo io nei tuoi ricordi?
Che spazio ho preso?

-Sono troppo curioso di vederli
-Ma guarda questo: anni che non mi vede e si preoccupa più dei mei giocattoli che di me.
-Hai ragione, sono un maleducato!

Ride e mi sdraia tra le lenzuola.

-Dove eravamo rimasti?
-E chi se lo ricorda più! Forse in mezzo a un trasloco, mi pare.

Si era così, prima che te ne andassi. Poi più nulla.

-Così tanto tempo?!

Si, ci hai messo tutto questo tempo a rifarti vivo.
Ci abbiamo messo tutto questo tempo a ricordarci di noi.
Di come stavamo bene.
Chi l’ha detto che non si possa rifare?

Chissà se i nostri interessi e le nostre vite hanno ancora così tanti punti di contatto.

-Non mi ricordo come si fa…

Scherza sulla mia camicia da sbottonare e sui jeans.

-Come i tuoi: slacci i bottoni e tiri giù la zip
-Ah! – Finge di non saperlo. Ridiamo di noi, di come sia faticoso dopo anni trovare la giusta alchimia tra imbarazzo e divertimento.

Ci piaceremo ancora? Ti piacerò ancora?

Apro i lembi della camicia e intanto sbottono la sua.
Mi ricordo perfettamente il suo modo di espirare. Quello è rimasto identico.
Ci guardiamo mentre lo facciamo, sorridendo.
Resto in reggiseno. Lo sfilo.

Mi fissa.

Aspetto di cogliere quello sguardo, quell’attimo di delusione. Me lo aspetto.

Ha decantato il mio seno sodo un sacco di volte. L’ha descritto spesso come pane da impastare. Come qualcosa che ti riempie le mani. È stato il panettiere del mio corpo, l’uomo che mi ha cosparso di glassa il viso e la pelle. Mi ha resa dolce un sacco di volte, schizzando se stesso con orgoglio, cospargendomi di baci e umori. Mi ha insaporita con le sue parole e le squisite sconcezze.

Mi ha preparata all’amore facendo lievitare piano la mia voglia di lui. Ricordo che il sesso furibondo era preceduto da infiniti minuti di preparazione dove mi lavava, mi asciugava, mi cospargeva di oli profumati fino a servirmi su un letto e consumarmi come un pasto proibito. Voluttuoso.

Ora è diverso. Sono rafferma. Invecchiata. Diversa. Ho un sapore che non è più quello di una volta.

Si trova in mano questa cosa vuota, fatta solo di muscoli, ma decisamente non quel pane palpabile e pieno che tanto gli piaceva.

-Due allattamenti… – mi giustifico il petto.

Mi guarda come se fossi la primavera.
-Sei bellissima.
Come lo dice lui ci credo. Come lo dicono gli altri no.

Abbassa lo sguardo fino al ventre. Non ce l’ho più piatto. Ora ho questa pancetta molle, da quarantenne che litiga con la vita e con la bilancia.

Passa il dito sulle smagliature del parto. Non sono mai più andate via. L’ombelico non esiste, è una piega strana. I due parti me l’hanno fatto a pezzi. Se mi concentro un attimo ricordo benissimo la sensazione dei piedini dei miei figli che si muovo sottopelle e spingono in fuori, scalciano. Un po’ come Alien, solo un pochino più romantico.

-Queste?
-Cicatrici da smagliature. Ero enorme.
-Che belle. Io non ce le ho.

Mi stupisce che un uomo possa dirlo. Che le possa in qualche modo invidiare. Ma so che dice la verità. È uno che ti mette all’angolo con questi pensieri da uomo incompleto. Vero. Non hai figli. E non saprai mai cosa vuol dire farne. Partorirli.

-Un giorno me lo racconti cosa si prova?
-Si, ma oggi no.

No, oggi non ho voglia di raccontarti dolore, fatica, spinte.
No, oggi siamo solo noi.

Tu coi miei difetti in mano. Io coi tuoi cinquantaquattro anni sdraiati addosso.
È dolce come lo ricordo, minuzioso nel quantificare quanta strada ha fatto la mia pelle, il mio corpo.
Non mi sta mettendo soggezione: mi osserva come fossi un quadro che non vede da tempo.

Tira le somme di quello che non gli ho raccontato di me.

I nei sono ancora quelli, c’è qualche macchia del tempo in più. Chili, rughe più o meno profonde, e soprattutto ho dismesso i panni della femmina sexy. Una volta ti avrei accolto in tacchi alti e autoreggenti. Oggi ti devi accontentare di biancheria che mi mette a mio agio e di quello che sono. Basta trucco pesante, basta infarcire un’immagine di me come non sono più. Certo, sono stata sexy, coinvolgente, vogliosa. Non che ora non lo sia, ma è diverso.

Sono più spontanea. Non ho più né voglia né tempo di mettermi qui a imbellettarmi: ho la presunzione di piacerti come sono. Ho fatto viaggi, lavori, ho costruito la mia vita. Non ho più voglia di circoscrivere la parte interessante di me a un’immagine.

Sono così, ora.

– Ti piaccio ancora?
-Moltissimo!

Lo dice convinto. Ho deciso che gli credo. L’alternativa sarebbe sentirmi inadatta anche a questo.

Mi bacia. Quanta storia, quanto tempo c’è in questo attimo. Quanto ci siamo persi di noi?

– Ti prego, me li fai vedere?

Mi stupisce con questa domanda quasi fuori luogo.

Lo so, è fatto così, un bambino curioso.
E gli ho detto che c’è l’intera fabbrica di giocattoli di là: è ovvio che ora non abbia in mente altro.

– Vieni.

Lo faccio alzare dal letto; non lo prendo per mano, me lo porto nella cabina armadio tenendolo per quella erezione sfacciata che misura la distanza tra noi.

Gli piace, mi segue docile, obbediente.

– Eccoli qui.

Gli mostro con malcelato orgoglio la scaffalatura colma di tutto: ho circa trenta vibratori di vario tipo; anelli, vibratori clitoridei, g spot, massaggiatori prostatici. Ho un arsenale del piacere carico a dovere perché non amo farmi trovare impreparata anche se la guerra la faccio solo con me stessa.

Mai e poi mai avere vibratori scarichi.

– Li usi tutti?
– Si, a periodi alterni, a seconda di cosa mi va.

Non ci crede: mai visto tanti oggetti del piacere tutti insieme. O forse si, in qualche sexy shop, non in una casa privata da donna qualunque.

Ha gli occhi che luccicano.

Guarda le scatole. Soppesa, apre. Osserva.

– Ma sono dei gioielli, non dei viratori! Roba che li puoi tenere in salotto e spacciarli come opere d’arte!

Stenta a credere che esistano oggetti così.
Eppure è vero: il bello di fare un mestiere come il mio.

– Quale usiamo?

Parla al plurale. Ha già deciso che siamo una coppia. Mi piace questa grammatica che include, che anticipa già il piacere che sarà per noi.

– Scegli tu- Dico languida e lo lascio davanti al mio scaffale preferito, colmo di promesse di gioia.

Sento che va avanti a scoprire, scrutare, ogni tanto accende qualcosa e ride, capendo al volo a cosa serve.
Lo aspetto sdraiata sul letto, curiosa di sapere con cosa tornerà qui.

Sono pronta a farmi assaggiare di nuovo e a consumare di questo pane, di questo noi, che ha tutto un sapore diverso. Forse addirittura meglio. Chissà.