Mi apre la porta e resto lì.

Ride.

Anni fa gli sarei saltata al collo e l’avrei baciato di slancio. Ora resto lì a fissarlo.
-Barba- mi dice accarezzandosi la faccia nascosta da Dio solo sa quanta peluria.
Gli vedo solo la pelata lucida e il naso. Il resto è sparito sotto una coltre nera.

Non lo riconosco più.

Lo fisso. Evidentemente non sto sorridendo perché mi chiede
-Non ti piace?

Mi viene d’istinto di prendergli la faccia tra le mani.
Accarezzo quelle tempie profonde, metto i pollici sulla riga del naso.
Guardo fisso dentro quegli occhi che per così tante volte mi sono entrati dentro.
-Parlami.

Ride
-Parlami. Parlami perché non ti trovo. Dove sei finito qui sotto?

-Sto così male?- lo dice ridendo. Non hai capito. Non è il fatto di stare bene o male, è che non sei più tu.
-Parlami, altrimenti non ti trovo. Non ti riconosco.

Gli accarezzo le labbra carnose mortificate da tutto questo nero.
-Moda hipster del cazzo. Come ti è venuto in mente di conciarti così?
-Cosa vuoi che ti dica?
-Quello che ti pare basta che parli e mi fai sentire la tua voce, altrimenti non ti trovo.

Ho le dita immerse nei peli della sua barba da boscaiolo di città.

Scommetto che non sai nemmeno tenere in mano un’accetta e le tue dita da impiegato tradiscono il tuo disimpegno. Non ne saresti capace, no. Provo a spostare i peli, a cercare il profilo che conosco, le guance che sorridono, ma si scorgono a malapena le labbra e i denti in mezzo a questo folto.

Che fine hai fatto?
Dove sei finito in questi quattro anni?
Te ne sei andato per tornare così? Con una faccia che non è più la tua a far finta che sia tutto come prima?

-Sembro ancora più terrone?
-Diciamo che se adesso ti metti a urlare hallah akbar io me la do a gambe.
-Addirittura?
-Si, no, ma mettiti pure un pastrano in testa e siamo a posto.
-Ok, capito: non ti piace.
-No che non mi piace! Ma ti pare se io mi facessi crescere i peli della passera a questo modo? Roba che non troveresti neanche l’entrata!

Ride.

-Sei drastica!
-Anzi, guarda, smetto pure di togliermi i baffetti e i peli sulle gambe, così la prossima volta giochiamo ad armi pari!
– Si, ma dimentichi che sono uomo del Sud, a me le donne baffute piacciono.
-Aspetta di trovarti di fronte un quasi uomo e vedrai che la voglia ti passa.

Sorride della mia aggressività. Delle mie argomentazioni bislacche.
-Vieni!
Mi porta di là.
Alla fine realizzo che no, non ci siamo neanche baciati. Del resto come fai?
Si mette seduto sul divano e sospira.
Una volta ci saremmo diretti subito in camera.
Ora è diverso.
Quattro anni scambiandosi qualche messaggio scarno.

È andato via.
Non gli ho mai perdonato di non avermi salutata.
Non dopo tutto il sesso che abbiamo fatto.

Non abbiamo quasi il coraggio di parlare. Siamo a metà tra la voglia di fare l’amore e andare avanti a provare questo lungo, strano imbarazzo, quello del tempo passato, delle parole che mancano a questa storia per potersi dire tale. Perché quando ami qualcuno non lo lasci quattro anni senza notizie di te. Non lasci gocciolare un saluto ogni tanto come un rubinetto che perde.

Che fine abbiamo fatto? Che ne è stata della nostra storia?

E tutto il sudore che ci siamo scambiati? La nostra pelle ha preso il profumo l’un dell’altro, i pori si sono occlusi di noi. Ci siamo dati promesse e saliva.

Poi basta. Poi tutto è finito, consumato forse dalla noia, dalla distanza.

Perché l’Oceano in mezzo è un po’ troppo grande da riempire di noi.
La distanza si è fatta viva.

La tua nuova vita altrove, senza alcun racconto, senza sapere posti, luoghi, odori. Senza avere nessuna immagine di te.

Come fai a chiedermi che sia ancora tutto come prima se non so neanche chi sei ora?

– Il viaggio è andato bene?- territorio di discussione neutrale.
– Si, un po’ lungo, ma mi piace tornare qui. Vuoi?

Finisce di sbucciare un’arancia che aveva cominciato prima che io arrivassi.

-Odio le arance.
-Si? – Lo chiede come se non fosse possibile. È nato al Sud, ha il Mediterraneo nell’anima. Sta tutta qui la differenza tra noi. Io sono cresciuta con la nebbia, lui col mare. Lui si abbronza all’ombra, io se non mi riparo mi scotto solo a sapere che è agosto.

Ora che quasi nevica lui si puzza di freddo, come dicono dalle sue parti, mentre io odoro l’aria e capisco se nevicherà o no. A naso.
Siamo due anime sparigliate, uscite a caso, messe insieme chissà come, agli antipodi di qualunque ragione possibile.

Scuote la testa disapprovandomi. Per la gente come lui le arance sono la cosa che manca di più quando te ne vai. Le arance sugli alberi, da cogliere appena sono mature. Io neanche l’ho mai visto dal vivo un albero di arance, figurati.

Quelle che vedevo da piccola erano in cassetta, avvolte da una velina colorata. Per me arance sono veline colorate e aspro in bocca. A te mancano, a me no. Tu non sopporti di vivere lontano dal mare, io non so neanche nuotare. Cosa diavolo ci facciamo ancora qui, ancora insieme?

Che cosa stiamo tenendo ancora vivo? Perché ci accaniamo tanto con questo che non è neanche amore?

Finisce di masticare piano.

Non abbiamo argomenti e non ne dobbiamo cercare. Mi fissa mentre mastica. Il bello di avere avuto una relazione tanto importante è che le parole non servono. Serve solo il respiro.

– Stai scrivendo?
– Solo cose per un blog.
– Zozzerie?
– E che altro vuoi che faccia una come me?
-Scrivi bene.
-Si, dai, anche tu non te la cavi male con i tuoi milioni di copie.

Non ho paura di te, del tuo talento. Non ho paura di quello che sei diventato. Mi dispiace per quello che non c’è, per la mancanza di coraggio di dare un nome a tutto questo. Di vivere queste lunghe pause come se fossero normali. Chi c’è stato nel frattempo? Perché mi chiedi sempre se ti ho sostituito? Perché non lo ammetti che ti piace quando ti dico che non si batte un chiodo? Che dopo di te non c’è stato nessuno?

Si, hai occupato una parte enorme nella mia vita. Quello che provo per te prende così tanto spazio che da anni non riesco a far entrare più nessuno.

Eppure non è amore. Noi non lo chiamiamo così. Non lo vogliamo chiamare così.
Per te è stato diverso. Tu hai avuto donne, avventure, relazioni.

Io ho avuto solo attese di te. Senza volerlo. E maledicendoti di continuo per tutto quello che sei stato. E che sei.
Per quella diavolo di arancia che mastichi così e che non mi dà pace nemmeno adesso.

Per te.

Lasciami i miei silenzi. Le mie lunghe attese. I miei motivi di non farmi sentire. Lasciami le sospensioni. I non detti. Lasciami i sospiri e i freni. Lasciami fare. Lasciati soprattutto dimenticare. Finisce la sua arancia.

Mi avvicino.

Lo bacio.
– No. Niente da fare. Non mi piace neanche così.

Ed è vero. Le arance non mi piacciono nemmeno se provi a farmele piacere tu. Forse è questo l’amore che non arriva. Che non si forma. È questa incapacità di trovare il gusto delle cose insieme.

Io e te non siamo fatti per essere un noi al plurale.

Lasciami andare.

Però scopami una volta sola ancora. Di là. Ora.
– Non mi piace. Mi piaci tu.

Mi prende e mi porta di là questo ragazzo del Sud al quale mancano il mare, le arance e che chissà quale altra donna che non sono io nella sua vita.

Vieni, che ti faccio sentire di che cosa sa la nebbia.