Ok, allora: 400 ml di panna fresca, presa. 600 ml di latte fresco è qui. Secondo te doveva essere a temperatura ambiente?

– Boh, non c’è scritto?

– No

– E allora no, di solito lo dicono.

– Vaniglia: messa, 4 uova intere direttamente dal culo delle galline di nonna pronte.

– Romantica che sei!

– 80 g di farina è lì; 300 g di zucchero è qui pronto, 1 pizzico di sale lo mettiamo dopo. Ok. Cominciamo.

Faccio la classica faccia da “vabbè, se proprio ci tocca”, ma in realtà cucinare con Ale mi piace. Mi diverte proprio.

– Mettete in un pentolino il latte, la panna e il baccello di vaniglia aperto e portate quasi a bollore. Cazzo, io c’ho la vaniglia in polvere, andrà bene?

– Vabbè, se fa schifo lo buttiamo!

– Nel frattempo in un altro pentolino sbattete bene le uova con lo zucchero e il pizzico di sale.

Si mette tutta di buona lena a sbatacchiare, mischiare e a me piace guardare come tutto quel lavoro di braccia le faccia sobbalzare il seno.

È una donna d’altri tempi Ale, è energica, forte, ha i fianchi grossi, ben piantati su due gambe che se ne stanno fisse a terra senza tremare. Ma sanno far tremare te.

Ale è una di quelle donnone materne delle pubblicità di una volta.

– Aggiungete la farina setacciata, ok

Se agita ancora un po’ quel colino i capezzoli le partiranno fuori dalla maglietta.

La fisso e glielo dico

– Ti piace ehm, questa ricetta.

Coglie subito la direzione del mio sguardo

– Scema! Datti da fare piuttosto! E mescolate ancora un po’, quindi aggiungete il latte tutto in un colpo versandolo da un passino a maglie fitte. Cazzo è il passino a maglie fitte?

– Boh, a me lo chiedi? Io al massimo faccio i 4 salti in padella!

– Più fitto di questo cosa c’è? – Domanda agitando il colino

Le fisso le tette di nuovo.

Ci pensa un secondo.

– Ma sai che non hai tutti i torti?- Dice ridendo.

Si sfila la maglia e riversa fuori tutto quel ben di dio.

Era un po’ che non la vedevo nuda.

L’ultima volta è capitato in piscina un annetto fa, ma questa volta è più bella, più lei, con il suo sorriso generoso e la farina sulle guance. Questi cinque chili in più le stanno davvero bene addosso. Sempre siano lodati i corsi di cucina, la moda dei food blog e la fissa che le è venuta di cucinare quello che vede bello in foto, sul web.

– Non vorrai mica passare il latte nella tua maglia da ascella pezzata vero?

– Perché no, sono buona, io!

E lo so, lo immagino, lei non sa quanto.

Lo fa: versa il latte nella maglia e lo munge quasi fuori dal tessuto che diventa un utensile improvvisato da cucina. Segue passo passo la ricetta, standosene con le sue tettone all’aria, misurando la temperatura con i capezzoli.

Ci si dovrebbe poter misurare la temperatura con quel seno. Dovrebbero metterlo tra le invenzioni del secolo. Li dovrebbero brevettare quei capezzoli così sensibili al freddo.

– Mettete sul fuoco a fiamma bassissima

– Faccio io prima che ti ustioni le tette

Ed è vero: non vorrei che tutto quel davanzale si possa scottare. Mi sono sempre domandata come faccia a portarle in giro, le sue tette taglia sesta.

– …mescolando sempre con una frusta a mano. Spegnete quando la crema si sarà addensata bene.

La sento, è dietro di me e sbircia oltre la mia spalla se sto facendo bene.

La crema si fa densa, sontuosa, calda.

La spengo prima che inizi a bollire, evitando che sappia di bruciato.

Non me ne intendo di cucina, ma vado per intuizione.

Aspetto un attimo che si freddi un poco.

Intingo cautamente il dito, per non sporcarmi.

Assaggio. È ottima, ottima davvero.

-Mmmmh.

-Fa assaggiare!

Le sottraggo il pentolino, gelosa.

– Via con quelle tette, che mi ci fai finire altro latte!

Ride e mi insegue. Io intingo un dito di più e lo lecco.

Eccelsa, davvero straordinaria. Non so come abbiamo fatto ma è uscita davvero buona.

Lei saltella facendo fare su e giù all’enorme seno che si porta addosso.

È la giovialità fatta donna.

Sono quelle sue tette burrose la vera dolcezza.

Prendo un’altra ditata di crema, le segno la linea del naso con l’indice.

Una goccia di crema le cade dal viso sul seno sinistro.

Assaggia la pasticcera col polpastrello. Sorride sorniona

Mi fissa.

È il momento più lungo della mia vita.

– Ti piace? – me lo chiede con quella goccia di crema pasticcera che le sta accarezzando il capezzolo come vorrei fare io.

Mi chino verso di lei. Verso quella goccia che se ne sta in bilico, pronta a cadere nel vuoto.

Mi chino e non so cosa succederà a me, a noi, alla nostra amicizia. Mi chino verso di lei senza sapere se mi vuole.

Ma io so che voglio il suo sapore.

Mi chino e l’assaggio, e improvvisamente questa ricetta non sa più di scherzo.

Il resto sarà o dolce o troppo incomprensibile per noi.

Intanto le bombette da farcire sono lì, pronte, e non so quando e come le finiremo.