– Mh, ho imparato a fare il nodo parlato! – annuncio tirando fuori dalla bocca il cucchiaino lindo.
Sorride sotto quella barba lunga sale pepe che si ritrova.
Ci conosciamo poco, eppure è bastato quel libro che mi ha regalato per Natale per farmi incuriosire di lui.
Finiamo il mascarpone che la nostra amica ha preparato.
Ci ha riuniti qui con la scusa che aveva bisogno una mano a guardare i cani, in realtà se li è portati via per l’intera giornata e ci ha lasciato la casa vuota. Sta tramando per far decollare questa relazione.
E nessuno di noi due si sta tirando indietro.
Ora siamo solo noi e il nostro imbarazzo e questi bicchieri di mascarpone e lamponi.
Finisco di succhiare il cucchiaino.
La legna scoppietta nel camino.
– Fammi vedere se è vero.
Cerco con lo sguardo qualcosa che posso usare.
– Aspetta! – Mi alzo e raggiungo la penisola della cucina. Hanno fatto bene a chiamarla così: penisola. Con la mia amica scherzo e le dico sempre che è un porto dove mi piace attraccare, sostare, prendermi le nostre pause rispetto alle burrasche del mondo.
Comincio a frugare nei cassetti della cucina. Deve avere dello spago da cucina: è troppo brava a fare arrosti e manicaretti per non usare dello spago da cucina.
– Se vuoi ho qualche metro di corda di juta in macchina
È un marinaio, o meglio, un Pirata, e non mi stupirebbe se fosse la verità. Se poi lo usa per ancorarci le barche o le donne della sua vita per me è lo stesso.
– Con quello temo non ce la farei!
– Una volta imparato lo fai su qualsiasi cosa.
– Ho detto che ho imparato, non che sono brava!
Trovo la mia coda da arrembaggio d’arrosti nell’ultimo cassettone della cucina, vicino ai sacchetti per congelare.
È proprio di corda corda, non di quei nuovi tessuti sintetici che fanno scarna la cucina.
Ne taglio un pezzo abbastanza lungo e torno sul divano accanto a lui. Mi si mette accanto per visionare se davvero sono di parola.
Provo ad annodare i capi della corda a vuoto. Mi fissa. Non dice nulla. Sta guardando se davvero so quello che sto facendo.
Mi sto agitando. È una sciocchezza eppure mi sto agitando.
Allunga le braccia dietro di me per assistermi, in una specie di abbraccio sbilenco.
– Si fa così – Mi sussurra.
Sono appoggiata a lui. Se cercavamo un buon argomento per stare vicini questo si è rivelato quello giusto.
– No no, aspetta. Non mi arrendo: non me lo devi dire tu! Ce la devo fare da sola!
Ne faccio da sempre una questione di orgoglio: ce la devo fare da me a risolvere le cose.
– Ho bisogno di qualcosa su cui legarlo altrimenti non mi ricordo.
Mi sfilo da lui, da quell’attimo di intimità. Sto rovinando qualcosa? Non so. Ma non voglio che pensi che non sono capace.
Orgoglio. Sono un dannato animale orgoglioso.
Torno a cercare sull’isola della cucina qualcosa che mi aiuti nell’intento. Trovo un cucchiaio di legno.
Perfetto.
Torno da lui, lo guardo. Devo farmi perdonare per essermi divincolata.
– Beh, se dobbiamo farla sporca, facciamola bene.
Non capisce subito.
Mi accoccolo addosso a lui, seduta letteralmente tra le sue braccia. Ora se vuole mi può avvolgere davvero in un abbraccio con la scusa del nodo.
Se dovessi chiedergli perché si chiama nodo parlato sono certa lo saprebbe. Anni in mare gli hanno dato tempo e voglia di farsi una cultura. È un uomo curioso della vita. E mi stupisce sia curioso di me.
Stringo la capocchia del cucchiaio tra le gambe, per tenerlo fermo altrimenti il legno mi girerebbe a vuoto tra le mani.
Comincio ad annodare la corda attorno al gambo del cucchiaio.
Sono una specie di dolce da assaggio con quel coso infilato tra le cosce.
Ho addosso solo la gonna corta e delle parigine leziose, sexy, proprio perché sapevo che oggi ci sarebbe stato lui qui. Ma non immaginavo solo.
Stringo il legno esattamente a qualche centimetro dalle ginocchia, dove l’interno coscia è saldo e allenato.
Mi tiene i palmi appoggiati sulle cosce, mentre mi osserva le mani da sopra la spalla.
Rido.
– Che c’è?
– No, è che sento il tuo complimento appoggiato alla natica
Gli si è gonfiata un’eccitazione insistente che preme tra noi.
Avvolgo i capi della corda tentando di concentrarmi mentre ho il suo viso accanto, sento il respiro regolare mentre il suo corpo, la sua barba e il suo sorriso sono tutti avvolti a me, annodati. Ci stiamo intrecciando in silenzio attorno a questo nodo parlato. Chissà cos’avrà mai da dire.
Quante volte l’avrai stretto?
Sulle barche miliardi di volte, probabilmente, ma quante altre volte ti è servito come ora? E poi perché mi hai chiesto di imparare proprio questo?
Indovino la sequenza giusta, lo so perché sento il suo sorriso di approvazione appoggiato proprio nell’ansa del collo, quando finalmente faccio tutto giusto.
– Lo assucco, giusto?
Ho imparato questa strana parola succosa dal suo libro dei nodi. Assuccare.
Un verbo che vuol dire stringere, se ho ben capito.
Chissà se anche le persone si assuccano.
Se è quello che stiamo facendo noi stretti, avvolti come nodi indecisi se stringerci o no.
Ride e mi abbraccia ancora più forte da dietro.
Forse sì.
Forse è questo.
Forse hai tutta una grammatica di un mondo d’alto mare che non so, Pirata.
Mi giro verso di lui passandogli il braccio dietro al collo e lasciando il cucchiaio e il resto di me così.
Mi guarda e mi bacia.
Si sente solo il rumore del cucchiaio che cade a terra perché ho allargato le gambe per farci passare le sue mani.
Queste dita che hanno fatto nodi e miglia, che hanno fatto un giro del mondo in fascia tropicale passando per Panama e Suez, ora affondano qui, dentro di me.
Me ne resto come una polena issata con la schiena contro il suo petto, le gambe aperte sulle sue ginocchia e le sue dita dentro, sempre più in fondo.
Respiriamo baci e saliva, insieme.
Ci guardiamo mentre le sue dita toccano il fondo, dentro, fino al centro.
Le tira fuori piano, umide.
Non sono come il mare: il mio è sale che passa, non cristallizza, non resta. Il mio è sapore che vale solo ora. Adesso.
Me le porto alla bocca mentre continuo a guardarlo.
Assaggio i polpastrelli che sanno di me. Non sono male come tocco finale al mascarpone.
– Perché proprio il nodo parlato? – gli sussurro all’orecchio.
– Adesso te lo faccio vedere.
Mi solleva di peso e mi porta con sé.
Non ha bisogno di nessuna mappa questo Pirata: credo che sappia già dov’è la camera da letto.