Da piccolo non mangiavo lenticchie. Il motivo è molto semplice: ero un figlio viziato che concedeva poche eccezioni alle proprie regole, e poiché avevo deliberatamente deciso che i legumi non mi piacevano, scelsi di venire incontro ai miei genitori dichiarando che sarei stato disposto ad accettare i ceci. E nient’altro. Mio padre, da abile storyteller, anche se allora si diceva semplicemente “figlio di buona madre”, era stato eccezionale nel raccontarmi la storia di un gruppo di soldati francesi che, in fuga dalla guerra, si erano rifugiati in Puglia dove furono traditi proprio dalla pronuncia di quella parola: “ceci”. Così quel legume, rivelatosi fatale per i transalpini,  entrò a far parte della mia alimentazione settimanale, mentre i fagioli dovettero aspettare ancora qualche anno, e le lenticchie addirittura un decennio.

Per la parola “piselli” non ebbi invece alcuna pietà. La bocciai fin da bambino, con la certezza che avrebbe meritato un nome più seducente. Per molti anni le lenticchie sono state il compromesso che non ho voluto accettare, la ribellione, il prezzo da pagare a Capodanno dopo il dolce e lo spumante. “Portano soldi” – diceva mia madre, ma non ne abbiamo goduto il beneficio. Quando ho deciso di boicottare definitivamente la tradizione, me la sono cavata con la risposta del secolo: “Ti ringrazio, ma mi bastano l’amore e la salute. Non vorrei abusare di tutti questi favori”.

Quando Elena mi ha invitato a casa sua la prima volta non avrei mai pensato di dover ripercorrere questi ricordi che immaginavo rimossi per sempre. Vizi antichi e capricci fanciulleschi. Un uomo che non onora la tavola davanti alla donna che ha cucinato per lui è un uomo morto, prima ancora di iniziare. Elena viveva a Fossato di Vico, ma era originaria di Castelluccio di Norcia. Mi ha detto mille volte che avremmo dovuto andarci, ma non è mai stata troppo convincente all’epoca. Forse, se fosse riuscita ad inventare una storia come quella dei francesi di mio padre, di cui non ho mai trovato traccia su Wikipedia perché era evidentemente una puttanata, mi avrebbe persuaso a visitare quella piana.

Ma allora non c’era Instagram e io ero uno stolto, e sinceramente non ricordo nemmeno quali scuse accampai per evitare l’uscita fuori porta. In compenso mangiai tutte le lenticchie, cucinate ad arte, e realizzai che non aveva avuto senso il mio negazionismo verso il legume della piana durante tutti quegli anni. Bevvi del vino rosso, credo fosse una Lacrima di Morro d’Alba, e feci l’amore con Elena nella stanza dei genitori. Hanno sempre un fascino particolare le camere dei genitori, soprattutto quelle delle figlie femmine. Sono un’alcova protetta, il limite da non superare. Ma Elena non sembrava curarsene. All’inizio ti affacci con rispetto, in punta di piedi. Guardi i mobili e gli specchi, stai attento a non prendere troppo spazio sul letto.

Elena era gracile e impetuosa, un connubio tracotante di romanticismo ed erotismo, piena di vita come un adolescente il giorno dopo la fine della scuola. Quando la sua bocca mi liberò dall’accumulo di piacere, mi accorsi che la riverenza per la stanza dei genitori era andata a farsi un giro per il Borgo. Elena si voltò di schiena, mostrando l’unico lato di sé di cui non si vergognava e mi chiese di abbracciarla. Guardai fuori dalla finestra e vidi un panorama schietto, differente da quello che ero abituato a godere. Le case dell’Umbria sono compatte, le persone vivono una addosso all’altra, ma sanno poco dei propri vicini. Lei si accese una sigaretta, non l’avevo mai vista fumare. Non le chiesi nulla perché non sta bene rovinare un momento del genere con una domanda inopportuna. Un non fumatore che chiede spiegazioni è sempre maledettamente inopportuno.

“Fumo solo dopo aver fatto l’amore” –  mi disse. Il suo modo di aspirare mi fece capire che il suo era un singolare e saltuario omaggio.

“Non mi dà fastidio” – ho passato una vita a dovermi giustificare.

“Lo faccio solo quando godo, comunque. Ritieniti fortunato”.

Conquistai altro spazio nel letto profanato. La osservai mentre la luna e la sigaretta illuminavano il buio della stanza. Realizzai che le donne umbre sono tremendamente affascinanti e indipendenti.

“Un giorno di questi dobbiamo andare a Castelluccio di Norcia, ti faccio assaggiare le lenticchie di mia nonna” – disse mentre spegneva la sigaretta.

“Sai che non avevo mai mangiato le lenticchie prime di oggi?”

“Che c’entra, non avevi nemmeno mai fatto l’amore, come l’hai fatto con me”.

 Era vero. Ma a Castelluccio non andammo, e Dio solo sa perché. Se Dio non è abruzzese, figuratevi se è umbro. A stento sa dov’è l’Umbria, visto che gli hanno costruito tutte quelle Chiese intorno. Ci sono stato a Castelluccio, qualche anno più tardi, per la fioritura della piana. Ho cercato la nonna di Elena, e credo di aver trovato il suo negozio di lenticchie. C’era troppa gente, la maggior parte impegnata a scattare foto da condividere sui social network, una delle manifestazioni più lampanti della decadenza umana. Non avrei mai pensato che quella sarebbe stata la prima e ultima volta. Mi hanno detto che quel negozio non c’è più e l’unica cosa che può rinascere, oggi, sono le lenticchie. Quelle non le ferma nemmeno il terremoto.

Non sentivo Elena da dieci anni, il suo numero era cambiato, ma una sera sono riuscito a trovarla. Ho fatto una cosa che non facevo dai tempi dell’università. Ho composto un numero fisso ed ho chiamato casa dei suoi. Mi ha risposto la madre, dicendomi che Elena non viveva più a Fossato. Mi ha chiesto sommessamente chi fossi, e mi è venuto un leggero senso di colpa al pensiero di averle profanato, sebbene molti anni prima, il talamo nunziale. Quando ho sentito Elena ho trovato una voce diversa. Nuova. Cresciuta. Le ho chiesto se fuma ancora dopo aver fatto l’amore. Mi ha detto che ha smesso, ma non ho capito se ha smesso di fumare o di fare l’amore. Mi ha raccontato che non c’era più la casa a Castelluccio, non c’era più la nonna e che a stento potevano fiorire di nuovo le viole e le lenticchie, dopo il terremoto. Le ho promesso che stavolta saremmo andati, nella Piana, senza smartphone e solo per sentire l’aria buona che ci accarezza i volti. Che non era troppo tardi. Lei mi ha risposto che mi aspettava a Roma. E che stavolta non avrebbe aspettato altri quindici anni.

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Disclaimer: la storia è ambientata a Castelluccio di Norcia, uno dei luoghi maggiormente segnati dal terremoto. Castelluccio deve rinascere dai suoi prodotti e dalle sue bellezze, più bella di prima. Con i suoi colori.

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