Lei non è mai stata perfetta. Non lo è stata dal primo giorno, dalla prima volta che l’ho vista scendere dal pullman. Aveva un passo insicuro, per nulla femminile, si vedeva che il suo interesse principale non era quello di farsi notare. Eppure il mondo intorno le sorrideva. Senza malizia, ma soltanto perché lei voleva così. Perché la malizia voleva darla solo a chi se la meritava davvero, e non ero io quel giorno a poter godere di tale prodigio. La salutai come si fa con un amico di vecchia data, anche se non ci eravamo mai visti prima. Le chiesi come andavano le cose a casa, perché su Facebook avevo letto che c’era qualcosa, tra le mura domestiche, che la turbava. Fu più una domanda di cortesia, che un reale interesse, lei mi sorrise e mi assicurò che era tutto sotto controllo. Entrammo in macchina e le chiesi se l’aria condizionata le dava noia. Mi disse di no, ma aprì il finestrino. Non me la sentii di dire che per goderne appieno l’effetto avrebbe dovuto chiuderlo. Non l’avrei mai privata di quel momento di piacere, mentre il vento accarezzava i suoi fiori tatuati sul polso. Accesi la radio. Un beffardo Bublè risuonava fuori stagione. Era luglio, e io dovevo dirle quello che provavo. E Bublè, così festoso e natalizio, non aiutava affatto. Cambiai stazione, poi ancora, alla fine ci rinunciai. E spensi. Presi in mano lo smartphone per cercare una canzone più adatta alla situazione, mi persi per qualche secondo nel marasma delle notifiche, e lei mi disse che avrei dovuto guardare la strada.
“Che vogliamo fare? Ci schiantiamo con questo telefono?”
“No, scusa. È che cercavo una canzone”
“Abbassa il finestrino anche tu. Non lo senti che è questo il rumore più bello del mondo? La musica è sopravvalutata, alle volte”
Aveva ragione. In fondo non c’era musica più bella del vento che soffiava su di noi. E confondeva le nostre parole. Mischiandole. Il vento entrava in macchina dando volume ai suoi vestiti. L’avrei spogliata lì, senza proferire parola. Le avrei abbassato la cerniera del vestitino e le avrei baciato tutta la schiena. Non l’avevo vista mai da vivo. Ma mi era bastato immaginarla. E sapevo dove volevo arrivare. Dal collo al fondo della schiena, fino a baciarle le gambe. Nude. Scoperte. Calde. Non so cosa avrei dato per poterci mettere una mano sopra. La stessa che posavo sul cambio. Lo stringevo per evitare di perdere il controllo di me stesso, mentre lei mi guardava dallo specchietto, adesso sì in maniera maliziosa.
“Ti sono mancata?” mi chiese a bruciapelo.
“Ma se non ci siamo mai visti prima”
“Ah, bravo. Quindi non ti sono mancata. Complimenti”.
“No aspetta, non volevo dire questo. Cioè, è chiaro che…”
“Bla Bla Bla” disse muovendo la mano, avvicinando ripetutamente il pollice alle altre quattro dita.
“Mi dici come mai sei voluta venire fino qui? A trovarmi intendo?”
“Perché mi hanno detto che qui fanno un panino buonissimo con il pesce, e tu mi porterai a mangiarlo”
“Con il polpo – la corressi – Dai, sul serio dico, cioè…”
“Niente paranoie – mi stoppò mettendomi una mano sulla bocca – niente giustificazioni. E niente ansie. Portami a Polignano. MI hanno detto che c’è una panorama bellissimo e io voglio guardalo mentre mangio il mio panino col polpo”.
“Sei bellissima” le dissi a bruciapelo.
Non era vero. Cioè non era una cosa oggettiva. Però per me lo era. Mi sentivo ubriaco di lei.
Fece finta di niente. Scoprì ancora le gambe, ma magari non lo fece apposta. Non si curava del fatto che stavamo facendo tutto troppo in fretta, che la situazione era assurda, e che noi non c’eravamo mai visti prima. Posai gli occhi su di lei. Un istante. E capii che di assurdo non c’era nulla. Che l’unica cosa assurda era non baciarla. Avrei fermato la macchina lì, in mezzo al traffico, per farlo. Iniziò a toccarsi i capelli, mise i piedi nudi sul cruscotto della macchina, in maniera un po’ incurante e arrogante. Mi sarei incazzato con chiunque non fosse stata lei. Ma solo per una questione di principio. Non me ne è mai fregato un cazzo delle macchine, e per quanto mi riguarda lei avrebbe anche potuto sequestrarmela, con quel sorriso. La portai a Polignano. L’accompagnai a vedere la spiaggia più famosa di Instagram, lei mise il suo like ma non lasciò alcun commento. Perché era stupefatta e non sarebbe bastato suggerirle un hashtag. A volte non mi rendo conto di essere nato a due passi da una meraviglia del mondo. E in quel preciso istante le meraviglie erano due. Polignano e Lei.
“Resta qui, vado a prenderti il panino”
Si guardò intorno. Annuì e prese un quaderno dalla borsa. Iniziò a scrivere. Pensieri. Mentre io mi allontanavo. Quando mi vide tornare da Pescaria con due panini col polpo, due panini gourmet, mi applaudì a scena aperta. Non so perché, ma la baciai. Al volo. Sulle labbra. Per due secondi. Senza vergognarmi. Lei non rispose. Addentò il polpo calloso. Sentì il sapore ardito dei tentacoli, e quello deciso del pane pugliese. Un filo d’olio grezzo e niente più. Né limone, né salse. Solo il mare, il sale, il grano. Si lasciò andare per un attimo all’estasi, mi mise una mano sul fianco. Mi disse grazie all’orecchio e capii quanto mi era mancata la semplicità. E adesso che ci pensavo era bellissima. Senza bisogno di distinguere tra “oggettivo” e “soggettivo”. Era bellissima per me, e al mondo bastava. Quando tornammo in macchina mi prese la mano destra. Me la mise sulle gambe e si lasciò accarezzare. Pensai a quanto tempo perdiamo con le mani sul cambio, o peggio ancora a scorrere le notifiche di uno smartphone, quando potremmo tenerle sulle gambe di una donna che ci sorride.
“Ecco, preferisco che la tieni qui la mano – e me la spostò ancora – tra le mie gambe. O preferisci guardare Facebook?”.
A volte ci sono domande che non vogliono risposte. Perché sono così banali e scontate da sembrare inesorabili. La strada scivolava via veloce, come un pomeriggio d’estate. Quello di una promessa mantenuta e di un bacio rubato. Di un tempo troppo piccolo per non doverlo fermare. E così fermai la macchina. E la baciai. E quel bacio durò molto di più di un’estate, mentre Bublè, molto meno beffardo di prima, continuava a farci da colonna sonora fuori stagione.