L’Inghilterra sa di bacon e uova strapazzate. È un odore che ti accompagna da mattina a sera, e se vieni qui per la prima dalla volta, dall’Italia, e hai un minimo spirito di avventura e libertà, può persino piacerti. È la prima volta che rimpiangi l’odore del cornetto e del cappuccino che puoi definitivamente sentirti vecchio, e conosco persone che questo tipo di nostalgia la provano già dalla prima volta che mettono piede a Londra. Respiravo forte l’odore delle cucine del McDonald, l’aria fritta, insalubre e cosmopolita. Invidiavo i bicchieroni taicheuei che un giorno sarebbero diventati patrimonio di Starbucks e di un’inutile crociata contro il caffè lungo, come se l’espresso e il moccaccino non possano coesistere. Un discutibile taglio di capelli che voleva ricordare Billie Joe, il cantante dei Green Day regalava sorrisi ai passanti. Mi ero ossigenato i capelli in onore del Regno Unito, dei Sex Pistols, del “Fotti la Regina” e di quel Do-iu-ev-de-taim che suonava nei nostri walkman facendo da colonna sonora in giro per l’Europa. Ribelle e romantico, con la barba già da uomo e una storia d’amore trascinata troppo a lungo. Quella notte, un treno da prendere. Un altro. Perché l’Interrail è una corsa continua, un viaggio che trova il suo culmine nello scendere e risalire, nella stanchezza e nella ripartenza. Contropiedisti d’Europa, altro che cholismo. Gente abituata a soffrire, a trascinare zaini pesanti e a dividere le cuccette con energumeni del regno di Albione, maleodoranti di birra e sudore. Abbiamo imparato a non dare nulla per scontato, nella vita, figurarsi in un viaggio. Un posto a sedere, nel cuore della notte, è già una conquista. Altro che il posto prenotato, il wifi, i giga illimitati.

Giovanni tirò su il cappuccio per farci capire che, da quel momento in poi, non voleva più essere disturbato. E mentre noi ci attorcigliavamo come danzatori bulgari sulle scomode poltrone di un vagone britannico, lui restava impassibile davanti a qualsiasi tipo di imprevisto. Il controllore che bussava nel cuore della notte, l’operaio alienato che iniziava a cantare, il feticista che insisteva nel volersi sedere in mezzo a cinque italiani scalzi che avevano colonizzato un intero scompartimento.

“Mi devi dire come cazzo fai a dormire con questo casino, Juan” disse Giacomo mentre era intento ad aggiustare le spille sul suo zaino.

Giovanni non lo degnò di uno sguardo. Tirò il cappuccio verso il basso, e per un attimo cambiò posizione.

“Comunque ragazzi stendiamoci perché alla prossima stazione sale il mondo” Francesco era lo stratega del gruppo. Quella di togliersi le scarpe e sdraiarsi era una tecnica spesso vincente, dal momento che faceva desistere il passeggero di turno a buttarsi in mezzo al branco.

“E come fai a saperlo?” disse Stefano

“Perché passiamo da Manchester”

“E quindi?” aggiunsi

“Il Manchester United è campione d’Europa, quindi c’è un bordello di gente”

“Quindi a Birmingham non sale nessuno perché l’Aston Villa ha fatto cacare?” gli dissi.

“Che c’entra, l’Aston Villa resta una squadra importante” sentenziò Francesco.

Le sue teorie avevano un fondo di verità, e non era raro scegliere gli itinerari degli Interrail in base agli stadi, alla Champions e al pallone. Se non fosse stato per questi motivi non avremmo visto Rosenborg, Bochum, Machelen, Bordeaux e la stessa Rotterdam che per noi era Feyenoord.

“Sei stato un coglione comunque, te la potevi fare la tedesca” Francesco si fece serio nel cuore della notte. La mancanza di smartphone ci costringeva ad approfondire certi discorsi, a sviscerarli fino alla noia. Ad aprirci come forse oggi non si fa più. Perché si parla tra una notifica e un’altra, nell’intervallo di azioni fatte per appagare il proprio ego.

“Ma che dovevo fare, mi ha portato in camera, più che dormire con lei…”

“Cioè, tu hai dormito con lei e non ci hai fatto nulla?” disse Stefano

“Ragazzi, era la camerata di un ostello. È già tanto che nessuna se ne sia accorta, era una situazione imbarazzante. Lei ad un certo punto si è anche tolta il pezzo di sopra del pigiama, cioè…”

“Com’erano le tette?”

Le più belle che avevo mai visto fino a quel momento, avrei dovuto rispondere. La fine della mia adolescenza e l’inizio di una nuova era. Il momento in cui ho smesso di andare a letto con una ragazza per farlo con una donna. Almeno questo era ciò che sarebbe dovuto accadere, ma il fatto che non avessimo consumato non cambiava più di tanto la cosa, per me.

“Beh, grosse” risposi banalmente.

“E tu non le hai messo nemmeno…”

“Aveva degli occhi bellissimi”

Tutti tacquero. Interrompere un discorso sulle tette per parlare di occhi. Ero un romantico sprovveduto.

“Le ho promesso – continuai – che andrò a trovarla a Norimberga. Gliel’ho detto anche stamattina a colazione.”

“Non mi ricordare quella colazione di merda – disse Giacomo – ho i capelli che puzzano ancora di fritto”

“Ma scusa, non potevi restare un giorno in più a Londra, almeno ci scopavi” Francesco rincarava la dose.

“Poi lei mi ha dato questo.”

Tirai fuori dallo zaino Eastpack un fazzoletto scritto con una penna rossa. C’era un indirizzo incomprensibile, di una casa di Norimberga. Era firmato con un rossetto. Tua Julia, e accanto un cuore. Come se l’avesse consegnato al più impavido del latin lover. Uno che non aveva avuto nemmeno il coraggio di stringerle seriamente le tette o di togliersi le mutande. Non l’avrei mai perso quel fazzolettino che profumava di muschio bianco, rossetto, bacon e uova strapazzate. Aveva lo stesso odore di un bed & breakfast di Londra, quello di una notte di sesso che diventa una notte d’amore. Lo respirai forte mentre il treno ripartiva velocemente da Manchester alla volta della Scozia.