La prima volta si sta attenti a tutto. Ai particolari, all’abbigliamento, al messaggio giusto. “Sono arrivato, fa con calma” è un marchio di fabbrica. È come dire “Io ci sono, ma tu finisci pure di farti bella. Tanto non c’è fretta”. Per la perfezione si può anche inviare il messaggio con qualche minuto di ritardo, onde evitare di fare la figura di quello troppo pignolo, precisino, puntuale.
Con le donne basta un minuto per cambiare la storia.
La prima volta si esce “a bere qualcosa”, perché una cena è troppo impegnativa, la pizza è troppo semplice e il sushi troppo esotico, e poi non si sa mai. Ma basta niente a cambiare un contesto. Basta che lei salga in macchina e dica “Ciao, hai mangiato? Io ho una fame…” e i tuoi programmi cambiano come le strategie di quegli allenatori che hanno preparato la partita per portare a casa un pareggio e colpire in contropiede, e dopo due minuti sono già sotto.
Lo sapevo che dare appuntamento alle nove e mezza non era una buona idea. Perché magari tu hai già mangiato e lei no, e il tacito accordo di bere qualcosa è passato inosservato. Non come lei, che ti concede un bacio sulla guancia come saluto, anche perché ha scelto un rossetto ciliegia: un colore caldo, come calde immagini le sue labbra, se solo potessi accedere a quel mondo di promesse e ruspante lussuria di provincia. Ci pensi, a come ci si potrebbe sentire a mischiare le tue labbra alle sue, a farle crollare le certezze di un rossetto che sembra dire “se vuoi toccarmi, devi proprio meritartelo”. Saliamo in macchina e inizio a pensare alla sua fame, al suo rossetto, al reggiseno che si intravede da una maglietta appena più larga. Ma sono solo promesse, nulla di più. Vorrei chiederle cosa le piacerebbe mangiare, ma sarebbe la mossa sbagliata, così me la cavo dicendole che conosco un posto e nel frattempo scelgo la strada più lunga, per cercare di scoprire non tanto cosa le piace, ma cosa si aspetta. Perché una come lei, in quel momento, non ha voglia di niente in particolare, se non di scoprire dove la porti tu. Mentre metto la quarta penso attentamente al tipo di posto che potrebbe fare al nostro caso, mi viene in mente quel ristorante nascosto dentro un vecchio stadio, uno di quei posti che conoscono gli avventori della domenica come me, dove si ti fanno assaggiare il pesce pescato in giornata e te ne portano un po’ alla volta. L’importante è che ti fidi di loro. E che non chiedi il menù, perché non c’è.
Decido di andare in all in come un consumato giocatore di poker che non sono, prendendomi solo un rischio. Le piacerà il pesce? Ma è una questione irrilevante, perché al primo posto metto coraggio, decisione e fiducia. Meglio sbagliare ristorante che demandare alla donna la scelta. Non la prima volta. Sono un terrone, e me ne vanto. Per cui potrei chiederle “Ti piace il pesce”, invece mi limito a chiederle “Ti fidi di me?”.
Il suo sorriso, la mano tra i capelli e in cenno del capo mi fanno capire che la scelta è sicuramente azzeccata. Il locale non è certo uno di quei posti a cinque stelle, ma il fatto che lei non lo conosca è già sufficiente a rimettere la situazione sui binari giusti.
“Carino qui, non c’ero mai stata!”
Lo so, ragazza. Per chi mi hai preso. Sono qui per sorprenderti e toglierti quel meraviglioso rossetto ciliegia dalla bocca. Questo le avrei voluto dire. Invece arriva il cameriere a togliermi questa imbarazzante incombenza di dosso.
“Buona sera ragazzi, oggi abbiamo pescato il tonno e sono arrivate le alici fresche. In più abbiamo frutti di mare e se volete un ottimo astice. Posso farvi degli assaggi.”
Bravo ragazzo, gli assaggi sono il modo migliore per capire di cosa stiamo parlando stasera.
“Ti va di prendere qualche assaggio o hai preferenze?” Le chiedo.
“Mi fido di te” Mi dice.
“Anche per il vino?”
“Sul pesce preferisco il bianco”
Ma questa è banale, scelgo un Traminer e dopo il secondo bicchiere il rossetto inizia a perdere colore, mentre le mie certezze si fanno più consistenti. L’astice le piace e la pepata di cozze e vongole è buonissima. Nessuno dei due si spinge a fare la scarpetta, ci sono cose che al primo appuntamento non si fanno, ma solo per pudore. Lo stesso pudore che mi spinge a chiederle se vuole assaggiare un primo.
“Io sto bene così, al massimo…” Si vergogna a dirlo.
“Facciamo un altro assaggio di antipasti caldi?”
Non risponde, si rimette il tovagliolo sulle gambe, è felice quando qualcuno la legge nel pensiero.
E tanto basta. Di quella sera ricordo tutto. La mia mano che sfiora la sua dopo il terzo bicchiere di vino, il pane lasciato sul tavolo, il limoncello che non era un granché, ma oramai il più era fatto. Il sapore tenace del bianco, quello passionale della ciliegia sulle sua labbra. I baci che le avrei dato da quel giorno in poi. Da quando lei ha deciso che la fiducia conta più del buon gusto.