Se avevo indossato quella maglietta nera con il teschio non era certo per fare colpo. Al massimo, per fare prima. Nell’aria si sente il profumo buono delle sere di giugno, quella in cui l’Italia esordisce ai mondiali. Una di quelle sere storiche, che vivi una volta ogni quattro anni e se hai un minimo di memoria calcistica la immortali per sempre. Ho calcolato che in una vita se ne possono vivere massimo venti, per cui tanto vale tenerle bene a mente. Nel 1990 ero a casa mia e mia madre preparò la focaccia che l’aveva resa famosa in tutto il quartiere, quella con il sale grosso che mi piaceva tanto schiacciare sotto i denti. Pinuccio e Modesta avevano portato una torta gelato, di quelle che puoi tirare fuori solo all’ultimo minuto, perché l’estate nel ’90 è un’estate vera, afosa, italiana. Gli azzurri non riescono a superare l’Austria fino a quando Totò Schillaci, qualche minuto prima della torta gelato, salta più alto dei due centrali austriaci e dà il via alla sua favola.
Nel 1994 ero un adolescente brufoloso che portava il suo televisore in cortile per vedere la partita all’aria aperta. Le pizze si prendevano al GM e la scelta del gusto era una questione di identità personale. Le saprei recitare a memoria: diavola per me e Francesco, quattro formaggi per Giovanni, crudo alla barese per Antonio. Margherita per Luca e per le poche ragazze del gruppo. Io ero innamorato di Valentina, lei di Roberto Baggio. Quella sera non si vide né l’una né l’altro, Pagliuca si fece trovare fuori dai pali e l’Irlanda vinse per 1 a 0. Quattro anni dopo fu il Mondiale degli esami di maturità. A Bordeaux tira il vento dell’Atlantico, Vieri porta in vantaggio gli azzurri, il Cile pareggia e va pure in vantaggio, poi ci pensa Baggio, ad inventarsi un colpo da biliardo e a portare a casa rigore e pareggio. L’esordio del 2002 sembra il preludio di un Mondiale trionfante, quello del 2006 fu il primo nella Marche, tra ciauscolo, crescita, lacrima di Morro d’Alba e una vittoria facile facile contro il Ghana. Nessuno avrebbe mai immaginato quello che sarebbe successo poi.
Del 2010 ho paradossalmente i ricordi meno nitidi, se non quelli di una partita noiosissima contro il Paraguay. Di birra e patatine, e le sedie di ferro dello Chalet di Fabriano, quelle che quattro anni prima avevamo fatto volare al gol di Grosso contro la Germania. Quel rumore, quello di tavoli e sedie di ferro battuto che cadono a terra insieme alle bottiglie di Corona con il limone ancora infilato dentro, mentre Grosso grida “non ci credo”, resterà per sempre nei miei ricordi di ragazzo.
Quel sabato sera del 2010 avevo cenato a casa di Leila. Ci frequentavamo da un po’, giocavamo a fare i fidanzati ma qualcosa non tornava. Non ci tenevamo per mano quando passeggiavamo e non la vedevo tranquilla quando dormiva con me. Si agitava, si muoveva, era inquieta. Ma sapevo che non era così di carattere, il problema ero io e le sicurezze che non le davo. E che mai le avrei dato, visto che era passato un anno. A cena avevamo litigato, ma non ricordo nemmeno perché. Mi capitava spesso di litigare con Leila per motivi talmente futili da dimenticarmeli un paio d’ore più tardi. L’unica cosa che volevo fare era finire i vincisgrassi, che dalle mie parti si chiamano semplicemente lasagne, e andare a casa a vedere Italia – Inghilterra, l’esordio degli azzurri ai Mondiali. Avevo deciso di non parlare, e per fortuna che a cena c’era Federico, il quale iniziò a dissertare sulla natura del piatto marchigiano.
“Ma secondo voi ci va o no la besciamella nei vincisgrassi?”
“Dipende, mia nonna ci mette tanto di quel ragù che non c’è più spazio” – rispose Leila, incurante del mio pessimo umore.
“E mette anche anche le rigaje di pollo, vedo. In Puglia come le fate?”
Per tutta risposta avrei voluto dirgli che non vedevo molte differenze con le lasagne, e che mia nonna ci metteva tutto, anche la mozzarella di Andria. Ma mi limitai a ricordargli che si erano fatte le undici e che la partita stava per cominciare. Il Mondiale brasiliano ci permise di vedere una partita di sabato sera a mezzanotte. Un format che sperimenterei per il resto della mia vita, se non altro mi eviterebbe di pensare a cosa fare. Con questo spirito mi lasciai convincere a vedere la partita allo Spaccavia, dal mio futuro amico Riccardo. Era l’ultima cosa che volevo fare. Vedere una partita così importante in un pub, ma presto mi feci prendere dall’atmosfera. Si respirava competenza. Il bar era un posto di arguti dissertatori calcifoili, abili a riconoscere la gran partita di Darmian e i demeriti di Hodgson. Ad un certo punto mi girai verso il centro della sala e incrociai lo sguardo della ragazza con cui avrei voluto vivere per sempre. Era meravigliosa. Si era presa la scena con i suoi capelli ricci e le labbra che avevo sempre desiderato impattare, per usare un gergo calcistico caro a quel locale. Provai a trattenere l’imbarazzo mandando giù un sorso di vino, ma ogni volta che mi giravo il suo sguardo era sempre lì. Sostenuto, fiero, sensuale. Abbozzavo sicurezze e uno stile da sportivo. Sul gol dell’Inghilterra mi girai soltanto a tranquillizzarla, sorridendo. Al vantaggio degli azzurri esultai con garbo, non volevo darle l’impressione di essere eccessivo. Lei approfittò del gol per scoprire un po’ il seno e lasciarmi intravedere il paradiso, ma fu un attimo. Era sensuale senza essere volgare, ma la cosa non sfuggì a Leila, che mi colpì con uno schiaffo sul collo. “Vuoi che ti asciugo la bava?”
Non ricordo cosa le risposi, ma ho ben in mente i successivi sguardi di quella creatura mandata dal destino lì. Sempre più intensi. Sempre più penetranti. Avrei voluto prenderla per mano e portarla con me nel bagno del bar, sbatterla contro un muro e infilare le mani nel suo reggiseno. Ma al fischio finale preferii andare via. Fortuna che non vivo a New York, altrimenti l’avrei persa per sempre. Invece quello sguardo è lo stesso che incrocio ogni mattina, quando lei si sveglia, facciamo colazione e mi saluta prima di andare a lavorare. L’abbiamo ribattezzato “Sguardo Mondiale” ed un segreto tra me e lei quello che sarebbe successo quella notte di Italia – Inghilterra se avessimo avuto meno pudore e più coraggio.