“Chissà se l’istinto ha ragione prima del vino o dopo” pensò perplessa, mentre roteava l’indice sul bordo del calice, sporcandosi di un vivace Syrah.

Fissava il retro del bancone quasi in trance, lasciando scorrere sulla lingua, il residuo di quella boccata, che riempiva le narici di bacche selvatiche e restituiva al palato un intenso sapore di ciliegia. Ne seguiva compiaciuta la discesa, densa e infuocata, oltre la gola silenziosa.

Sembrava solo una comune degustazione in un bistrot da cui tirar giù trafiletti e scoprire intuizioni gastronomiche; era, invece, l’astinenza dallo sguardo di quell’uomo, a cui ostinata non voleva arrendersi.

Non era proprio il momento di lasciarsi travolgere da una relazione.

«Un vino con quella struttura, non andrebbe mai preso a stomaco vuoto» le sussurrò la voce alle sue spalle, interrompendo quelle riflessioni.

«Quelli come te, invece, andrebbero sempre persi a stomaco pieno» replicò ammiccando.

L’uomo non riuscì a trattenere una risata, si sedette allo sgabello accanto, allungò le gambe sfiorando intenzionalmente le sue, avvolte in quella gonna attillata, terreno fertile per le sue fantasie, e restarono a studiarsi per una manciata di tachicardie.

Prese la mano della donna e la portò alle labbra, sfiorando l’indice che sapeva di vino e continuò a fissarla come se, solo guardandola, potesse placare la sua fame.

Sollevò un braccio per chiamare il cameriere che, come ombra del mondo, si materializzò con il suo lungo grembiule bordeaux.

«Gabriele, potresti portarci il vassoio che ho preparato e un’altra bottiglia di vino, per favore?».

«Ve li porto subito» replicò il ragazzo, felice probabilmente di sparire di nuovo.

«Mangerei con le mani solo per potermi sfamare dalle tue» le disse avvicinandosi all’orecchio, abbastanza da andare su di giri per il suo profumo.

«Non te la caverai nemmeno stavolta».

«Non voglio mica cavarmela, con te. Sono già completamente andato.» rispose serio.

Lei non disse nulla, sorrise e continuò a guardarlo come si guarda una preda e come si osserva un cacciatore. Si conoscevano da settimane e non era ancora chiaro chi fosse cosa: sapevano soltanto che non potevano fare a meno di desiderarsi. Inevitabili come una spruzzata di pepe nero, fresco e in grani, macinato sul lardo, che si abbandona lascivo sul pane tostato ancora caldo.

Il cameriere di ritorno, posò i piatti e stappò la bottiglia: l’apertura riecheggiò nel locale in penombra, mentre un lontano swing anni 40 riempiva la sala. Lui premette la gamba contro la coscia di lei e riconobbe quel luccichio, pericoloso quasi quanto un carico di combustibile accanto a un accendino difettoso.

Prese un crostino dal piatto e gliel’offrì lanciandole la solita sfida: un odore intenso, speziato, sfiorò la sua bocca, in attesa del morso.

«E ora, dimmi.» esortò.

La donna addentò e masticò lentamente, alla ricerca dell’ingrediente misterioso.

«Straccetti marinati al rosmarino in crema di patate, porcini e finferli con una nota di noce moscata» mormorò dopo qualche istante, continuando a mangiare lui e quel povero diavolo in bocconcini. E aggiunse autorevole: «crostino di grano arso».

Probabilmente, di arso in quel momento, non c’era solo il grano, ma l’uomo raccolse l’ultimo pezzo di lucidità rimasto in lui e disse «Sono impressionato. E l’ingrediente segreto, dimmi, qual è oggi?».

«Angostura, chef. Gocce di inaspettata angostura.» decise la donna, abbassando le frequenze della voce sperando così di poter mettere a tacere sia gli impulsi che il buon senso.

«Esatto. È complessa e imprevedibile, come te, l’angostura. Che, sia messo a verbale, tu sei l’ingrediente segreto a cui non ho nessuna intenzione di rinunciare» proseguì l’uomo con le pupille che brillavano come mirtilli al sole.

«Per il momento, l’unica cosa a cui non rinuncerò io, sarà questo formaggio allo zenzero e peperoncino che, invece, mi ricorda tanto te.» rilanciò prendendone dal vassoio un tocchetto.

«Per il gusto deciso?»

«Stagionato, avrei detto, ma sei troppo poco brizzolato perché sia credibile» lo canzonò.

«E quindi per cosa?» chiese ridendo.

«Per via dello zenzero e del peperoncino: è sempre un azzardo perché potrebbe essere troppo o troppo poco. Il segreto, dovresti saperlo, sta nel “quanto basta”, chef. E come sai non è semplice da trovare.»

«Il segreto, mi insegni, sta nella qualità. Se stiamo parlando del formaggio, so esattamente dov’è l’equilibrio. Se stiamo parlando di noi, so esattamente come perderlo.» replicò scostandole una ciocca di capelli dal viso. «Devo inventarmi un modo per tenerti qui con me più a lungo. Penso che preparerò del riso, un giorno o l’altro, e creerò un condimento per ogni chicco; così sarai costretta ad assaggiarli tutti. E prima che tu possa finirli, ne preparerò di nuovi.»

Versò il vino e propose un brindisi: «Dove c’è gusto, non c’è perdenza.»

E così, scomodarono tutti i sensi tranne uno: quello buono.