Avevo predetto l’arrivo di questo viaggio qualche sogno più in là, schiacciata alla finestra della stanza dove sono cresciuta. Dove il gatto dondola fra letto e balcone, scandendo un tempo preciso, diventato una piccola certezza ad ogni mio ritorno.

Oggi non giochiamo in casa, né la mia né la tua, forse per fuggire o forse per abbandonare ad ogni chilometro l’idea di essere cresciuti troppo in fretta. Involontariamente.

– Stiamo andando a Modena, annunci.
– Modena? Dici sul serio?
– Si, ti sembro poco serio? stringendoti tra le spalle.

É buona abitudine per noi sballarci di imprevisti e programmare poco.
Fa più parte delle tua natura mentre io con le mie paure reagisco al contrario. M’affogo in fitte ragnatele di orari e destinazioni precisissime per aggiudicarmi a fine giornata il titolo di “ragazza perfetta”, che non sono e mai sarò. Semplicemente perché non mi veste la taglia.

É buona abitudine staccare la spina, riavvolgere il nastro, raccontarci le cose belle della vita.
Quelle brutte e dolorose le lasciamo al vino.
Ci perdiamo in macchina tra chiacchiere e canzoni italiane.

I tuoi capelli, mentre guidi, formano un ricciolo scomposto che amo follemente.

La citroen rossa che ci porta a Modena è di Mirco, ma lui non sa che sono qui con te.
Nelle nostre notti sregolate, tutto torna in ordine.
In ordine per poche ore, perché non c’è nessuno a puntarmi il dito contro.
Siamo avvolti da nuvole di tabacco, trascinati dal nostro bisogno di assaporare ogni istante fino all’ultima goccia, fino a succhiarne il midollo.

Ti guardo mentre la radio che non esiste fra le nostre chiacchiere mi distrae dal fatto di essere ancora una volta qui.
Insieme per chissà quale motivo. Insieme perché vabbè. Insieme, perché solo insieme confrontiamo le paure del silenzio che ci distacca.

Arrivati a Modena, parcheggiamo davanti ad un locale nascosto dentro un giardino. Con le luci giuste, la musica giusta che ci piace tanto. Con una risata complice ci dirigiamo verso un tavolo coperto da alberi altissimi e profumati.

La stessa complicità, quella della ruota bucata al casello.

Ordiniamo del vino bianco che ormai per tradizione vuole essere la valvola di sfogo dei nostri sentimenti.
Siedo, bevo.
Ti osservo.
Così vero. Un imperativo categorico. Un essere inconsapevole ma allo stesso tempo assoluto.
Oggi ho messo da parte il mio ego per ascoltarti,
Aspetta che avvicino la sedia, mi metto comoda, voglio guardarti bene.
Tu bevi, chiedendoti forse che senso ha tutto ciò.

Ma poi chi siamo davvero per dare un senso alle cose, vaneggiare ha più sapore. Ti lascia uno spettro di immaginazione molto più ampio e umile. Le formalità non vanno d’accordo i nostri cuori.
Anche se devo ammettere che per essere un essere umano, hai una forma bellissima.

Rimani lì, con i tuoi pensieri e quelle incertezze che fanno della tua carne qualcosa di unico. Tanto nella tua testa non ci posso entrare e in un certo senso mi fa piacere.
Non mi va di mischiare i nostri malesseri, desidero solamente sentire la tua energia, Il tuo contenuto che è denso, così compatto.

Dedicati al mio sguardo curioso.
Se mi siedi davanti potrò immaginare i tuoi colori, suggerirti una calma apparente, anche se dentro me c’è una foresta millenaria. Silenziosa nella sua crescita, dove ogni foglia racconta un pensiero che vorrei sussurrarti.

Non credi anche tu che guardandoci siamo capaci di tutto?.
Siamo arrivati a detestare i nostri difetti, maggiormente quelli altrui. Chi ha tempo di scoprirsi e stare seduto senza fare nulla?
L’antichità della tua anima: troppo complicato accedervi. Chissà cosa non vuole vedere, cos’ha visto e si nasconde per paura di sentire.
Piccole ustioni che segnano lo spirito.

– ti porto in un posto speciale.
– di cosa si tratta? Chiedo curiosa.
– ti porto in un posto che ti piacerà sicuramente, dove solo tu, potrai apprezzare tutto.

Finito il calice, saltiamo in macchina e tu riprendi ad essere il capitano dell nostro viaggio.

– Raffaele, dove mi porti?
– vedrai, sembra un cinema all’aperto.

Arrivati a destinazione si fa silenzio.
Tutto è incerto ma somiglia a un’emozione già vissuta.

Crollo in un pianto caldo.

Le lacrime che mi bagnano il viso sanno di tutte le cose che vorrei essere per te e per una sera ne ho la possibilità.
Mi siedo ad ascoltare poesia, che tu hai pensato potesse piacermi.
– Ti piace?
Come dirti no.

Come mentire alle mie reazioni spontanee che oggi mi fanno innamorare di te come il primo giorno che ti ho visto. Come il primo sorso di vino bianco buono, che dopo un freddo apparente scioglie tutti i nodi allo stomaco.

Siamo qui, ad ascoltare poesia.
Qui a prenderci per mano, qui dove nessuno può vederci vivere il nostro amore come fosse sempre per l’ultima volta.