Sono giorni che aspetto questo momento, giorni che sogno l’attimo in cui mi verrai incontro per abbracciarmi così forte da togliermi il respiro, prima di farmi perdere completamente i sensi con un tuo bacio. Esagerata? Forse.
Eccomi, scendo dal treno con la speranza di vederlo lì su quel binario, per me, perché è tanto che non ci vediamo e gli sarò mancata voglio sperare.
Non c’è, il mio indice di nervosismo sale vertiginosamente ma poi riconosco la sua figura in lontananza e depongo subito l’ascia di guerra, è troppo bello per rovinarlo di mazzate.
Lo trovo seduto su quella panchina fredda e anonima all’ingresso di Piazza Principe, testa china a leggere il suo giornale rosa pallido preferito. È sempre lui, il solito uomo da caffè, cornetto e pallone.
“Ciao eh! Ritardo di coincidenze, è molto che aspetti?”
“Non saprei, stavo leggendo le formazioni e mi sono dimenticato del tempo che passava.”
Non lo capisco e vado oltre, l’asticella del nervosismo continua a salire, volevo un abbraccio (almeno) e forse anche un bacio ma niente.
Di corsa a casa, appoggio le mie cose e mi preparo per la nostra serata speciale, avrà tempo e modo di recuperare questo inizio poco convincente.
Mentre mi vesto dice qualcosa tipo “non sarai troppo elegante stasera?”. Ecco, questa cosa suona come una bestemmia se detta ad una donna che aspetta un appuntamento da settimane.
“Mettiti casual, è la prima volta che vieni da me e ti farò vivere un’esperienza che ricorderai per sempre.”
Addirittura, “Dove andiamo?”
“Dici che dobbiamo conoscerci meglio e condividere le nostre passioni quindi ti porto allo stadio, in moto. Stasera c’è il derby e la città è tutta lì.”
Il primo appuntamento non si scorda mai dicono, rettifico, il secondo.
Ho aspettato 4 lunghissime settimane per vederlo, fatto 500 km, preso 3 treni, passato ore di pura noia in compagnia di estranei logorroici neanche troppo simpatici, tutto per stare con lui e che fa? Non prenota una cena romantica, non mi fa visitare la città o fare una passeggiata al chiaro di luna, niente di niente… ah no, rettifico ancora, mi porta allo stadio.
Scherziamo? Io sono quella che come attività pratica, ogni sabato pomeriggio, la corsa alle occasioni, figuriamoci se ho tempo di seguire uno sport in cui dei soggetti corrono dietro ad una palla che rotola, rotola, rotola, fino a fermarsi dentro una stupida rete.
Ora lo ammazzo, poi però come una scema lo assecondo, ormai sono qua e mi vesto sportiva, piace a lui e io sto anche più comoda.
Un giro tra i caruggi e arriviamo da “Mario”, tipico nome genovese.
“Fügassa?” La mia espressione spaesata deve essere arrivata a destinazione, il dialetto genovese non mi appartiene.
“Focaccia?”
“Sono venuta a Genova per mangiare la focaccia? Scusa ma da terrona non puoi offendermi così.” Adirato mi risponde a tono: “A Genova la focaccia è una cosa seria, come il pesto e come il derby.”
Ne assaggio giusto un pezzetto per farlo contento e mannaggia a me è davvero gustosa, croccante e morbida allo stesso tempo, unta come si deve. Una signora focaccia insomma.
Una mia smorfia di apprezzamento lo convince almeno in parte del mio pentimento e mette fine a questo siparietto, durato anche troppo e mi guadagno un bacio al sapore di pane e sale grosso.
Arrivati a Marassi butto la carta dell’autoconvincimento. Ho studiato mentre faceva la fila da “Mario”, documentandomi su questo cosiddetto derby della lanterna e sul fuorigioco che la maggior parte delle donne ignora (giustamente direi), mi sento carica.
“Sarà una bellissima serata.”
Lo dico in maniera convinta, guardandolo dritto nei suoi grandi occhi neri, è felice di essere lì (con me), lo so. Vediamoci questo derby e facciamola finita.
Passati i cancelli, scruto l’ambiente intorno a me cercando di farlo diventare amichevole e per la seconda volta in poche ore devo ricredermi, Andre aveva ragione. C’è una città intera qua dentro.
Fischio d’inizio, sono pronta. Il tempo passa veloce in mezzo a tutta quella gente agitata e mentre cerco di capire chi sta facendo cosa in mezzo al campo, dal gruppo si alza un coro.
“Un giorno all’improvviso mi innamorai di te,
il cuore mi batteva,
non chiedermi perché”
Lui mi abbraccia con quella sua calda e lunghissima sciarpa rossoblù, canta con gli occhi fissi su quel prato verde e mi basta vederlo per un attimo, così, per innamorarmi ancora di lui e capire che quello era stato il miglior appuntamento di sempre.
Poco importa se ho percorso più di 500 km, fatto due 2 cambi stazione, perso la sensibilità di mani e piedi per il freddo, passato 90 minuti in mezzo ad una folla esaltata senza capire neanche chi ha fatto cosa.
Il Genoa non ha perso, ho mangiato una focaccia delle sette meraviglie su al nord e noi siamo ancora abbracciati sotto una sciarpa rossoblù.