Stiamo passeggiando in centro lungo il viale principale di Sciacca, e sto cercando di capire grazie al gioco si specchi di due vetrine se per caso sto perdendo qualche capello sulle tempie quando Elisa ha un’improvvisa, irrefrenabile voglia di pasta coi ricci. L’unico ristorante nel paraggi è la Trattoria Garibaldi, così ci fermiamo lì. Un cameriere in camicia bianca e pantaloni neri ci fa accomodare a uno dei tavoli che occupano per intero la piccola piazza, proprio sotto la Chiesa. Visto che sono appena le sette e mezza, credevo saremmo stati soli. Seduta a un altro tavolo, invece, scorgo un’altra coppia, però con pargolo. Data l’ora, deduco che devono essere turisti.
“Vi porto subito il menù”, ci dice il nostro cameriere.
“A me no”, lo blocca Elisa. “So già: una pasta coi ricci, abbondantissima per favore.”
“Una splendida pasta coi ricci abbondantissima per la signora” ripete il cameriere, compiaciuto, segnandosi l’ordinazione.
“E per lei?” mi fa.
“Cosa mi consiglia?”
“Abbiamo un ottimo cous cous di pesce, signore. Poi le nostre famose busiate al ragù di tonno, un’eccellente pasta fresca con le sarde, dei favolosi spaghetti col sugo di granchio oppure uno straordinario pesto alla trapanese”
Mentre il cameriere elenca i primi, all’altro tavolo il bambino attacca a piangere. La madre cerca di consolarlo. Niente da fare. La donna dice qualcosa al marito. Lui afferra sulla tovaglia le chiavi dell’auto, si alza dal suo posto e si allontana.
“Signore?” mi fa il cameriere, mostrando un lieve ma visibile primo segno di impazienza.
“Una pasta coi ricci anche per me, grazie”
“Da bere? Posso consigliarvi un divino Donnafugata?”
Guardo Elisa
“Se è divino, per me va bene”
“Allora vada per il Donnafugata” dico “Grazie mille”
“Acqua naturale o gassata?”
“Niente acqua” gli rispondo dopo aver consultato Elisa con un’occhiata.
Il cameriere si appunta l’ordinazione su un blocchetto e sparisce.
“Ti prego parliamo così mi distraggo” mi supplica Elisa. “Se non mi portano la mia pasta coi ricci entro due secondi giuro che urlo”.
“No, meglio aspettare. Altrimenti vorrebbe dire che fanno piatti precotti. Ma qui non si usa, per quanto ricordi”
“C’eri già stato?” Il volto di Elisa si fa più preoccupato.
“Ci venivo ogni tanto da ragazzino, con i miei”.
“E tipo la la pasta coi ricci com’è?”
“Non ne ho idea. prendevamo sempre il cous cous. È la loro specialità.”
“Di carne o di verdura?”
“Di pesce. Alla saccense”
“Da quant’è che non mangi in questo posto?”
“Fammici pensare… venticinque anni. Un quarto di secolo no?”
“Per una ragazza di ventiquattro sì. Cazzo, io non ero nata”.
Ci guardiamo attorno. All’altro tavolo, il bambino continua a strepitare inconsolabile. Ha appena gettato a terra il pane con i semi di sesamo che qui chiamano pani ca’ giuggiolona. La madre si china per raccoglierlo.
“Che invidia”, sospira Elisa.
“Per chi?” le chiedo.
“Che invidia quella stronza, col suo bambino. Pensa che favola, averne uno nostro”. Con le dita di una mano tamburella nervosamente sul tavolo. “Dio mio, ma quando ce la portano ‘sta pasta coi ricci?”
Faccio un cenno al nostro cameriere. Odio fare cenni. Lui accelera il passo.
“Possiamo avere un po’ di pane e il vino, per cortesia?”
“E già che c’è può vedere a che punto sono i nostri primi?” interviene Elisa. Erano due paste coi ricci di cui una abbondantissima”.
L’uomo che si era allontanato con le chiavi dell’auto ricompare nella piazza. Tra le mani regge una Playstation. Raggiunge il tavolo dove il bambino continua a strepitare e gliela mette davanti sulla tovaglia. Il bambino si calma, e nello stesso istante un cameriere su materializza con i due piatti ordinati dalla coppia.
“Certa gente ha tutte le fortune”, sbotta Elisa.
“Quelli hanno già un figlio, e adesso mangiano pure”
Faccio cenno a un cameriere diverso dal nostro.
“Vi porto subito il menù”
“No, guardi, non ce n’è bisogno. Abbiamo già ordinato al suo collega, due paste coi ricci…”
“La mia abbondantissima”, mi interrompe Elisa.
“La sua abbondantissima”, confermo io. “Solo che intanto gli abbiamo anche chiesto di portarci il coperto e il vino, e non si è visto ancora niente”.
“Pensa che tenero, essere qui a cena con nostro figlio” mi fa Elisa. “Tra l’altro credo sia meglio cambiare ordinazione.”
“In che senso scusa?”
“Preferisco bere acqua. L’alcol può causare seri problemi al… coso, nel caso una sia… cosa, ecco. Come il fumo, del resto”.
Faccio un cenno a un terzo cameriere.
“Vi porto subito il menù”
“No, guardi, l’abbiamo già visto. Da più di un quarto d’ora aspettiamo almeno il pane e il vino che abbiamo ordinato ai suoi due colleghi. Vuole avere la cortesia di pensarci lei? E con il vino ci porti anche una bottiglia d’acqua, grazie”.
“Liscia o gassata?”
“Gassata” gli fa Elisa. “Anzi, no. Liscia.”
“Ne porti due”, aggiungo io. “Una liscia e una gassata”.
“Ecco i vostri magnifici saraghi.”
Il nostro cameriere, o almeno il primo a cui ci siamo rivolti, si è materializzato di fronte a noi. E oltre al tovagliolo porta con sé un ampio vassoio argentato, su cui languono due pesci.
“Deve esserci un errore” dico, esterrefatto. “Noi non abbiamo chiesto nessun mitico sarago. Le abbiamo ordinato, circa mezz’ora fa, due semplici paste coi ricci, di cui una abbondante”
“No, abbondantissima”. interviene Elisa.
“Abbondantissima” ripeto. “Inoltre stiamo ancora aspettando il coperto, il vino, e due bottiglie d’acqua, una liscia e una gassata”.
“Chiedo scusa, provvedo subito”.
Porto una mano sulla fronte per controllare se per caso non sto perdendo qualche capello.
“Pensa” mi fa Elisa con aria sognante, “lo porteremmo sempre con noi, in tutti i nostri viaggi. Non sarebbe bellissimo?”
“Altroché”, le dico
“Tu saresti un papà fichisismo. Ti vedo già a spingere il passeggino.
All’altro tavolo il bambino che ha ripreso a strepitare butta via la Play e centra in pieno il piatto della madre, schizzando il padre con il contenuto. Le famose bussate al ragù di tonno. A un tratto provo un impulso irrefrenabile: devo alzarmi. Andarmene. Mi tiro su di colpo, rovesciando a terra la sedia e gettando via il tovagliolo.
“Ernesto, che ti succede?” mi fa Elisa
Scappare, penso. Devo scappare.
“Ernesto! Mi dici che hai?”
Calmati, mi dico.
“Ernesto, si può sapere che c’è?”
Inspiro a fondo. Espiro. Farfuglio: “Scusami, devo… andare in bagno”.
In quell’istante si materializza un altro cameriere, il secondo a cui ci siamo rivolti. Con sé non reca né il coperto, né il vino e tanto meno i nostri primi o le due bottiglie d’acqua, ma un vassoio d’argento un po’ più piccolo del precedente, con a bordo un unico pesce.
“Ecco la vostra splendida orata” ci sorride.
“Mi stia a sentire” gli dice Elisa “Noi non vogliamo una splendida orata. Abbiamo ordinato…”
“Lo so”, la interrompe lui, “due fantastiche paste coi ricci di cui una abbondante.
“Abbondantissima” lo corregge Elisa.
“Solo che c’è stato un errore spiacevolissimo perché l’altro cameriere si è infilato la vostra comanda nella tasca dei pantaloni e se n’è dimenticato. Questa, diciamo, è un’orata di cortesia.”
All’altro tavolo, la coppia cerca di calmare il bambino. L’uomo, coperto di ragù di tonno, lo sfida alla Playstation, la donna legge ad alta voce una fiaba. Niente da fare. Dal locale spunta un quarto cameriere con i nostri primi, e dietro di lui un quinto, con il coperto e le bevande. Elisa non può trattenere un gran sorriso accompagnato da un piccolo applauso.
“Che bello Ernesto, non te ne andare. Stanno troppo arrivando le nostre paste coi ricci. Ti prego Ernesto non andare in bagno. Siediti e mangiamo.”
Mi chino a terra lentamente, afferro sedia e tovagliolo.
“Domattina comunque ripeto il test” mi fa, entusiasta.
Mangio la mia pasta coi ricci non troppo abbondante, ma comunque magnifica e resto un po’ in silenzio.
Il bambino si è addormentato e da lontano arriva il rumore delle onde.