È tanto che non ti scrivo una lettera. Stasera ho spento tutto. Il telefono, il wi-fi, la televisione. Ho voglia di sentire il silenzio e il rumore di queste quattro gocce di pioggia che accarezzano il vetro. Volevo dirti che mi manchi. Che da quando non ci sei più questa casa si è fermata ad aspettarti.

E no, non manca la mano di una donna. Manca il tuo sorriso. Mancano le tue mani. Manca il rumore dei tuoi tacchi quando esci la mattina per andare a lavorare. Manchi tu. La penna non scorre sul foglio, parte e si ferma, cancella, scarabocchia. Chi se ne frega, tanto è brutta copia. L’ho imparato a scuola e non ho più smesso. Una volta sapevamo distinguere cos’era in brutta e cosa in bella, non come adesso che scrivi e cancelli, e degli errori non si percepisce nemmeno l’essenza.

Vorrei raccontarti mille cose ma la verità è che non me ne è successa nemmeno una ultimamente. Ho scoperto che per avere qualcosa di bello da dire, devi goderti la vita anche quando non vorresti. Uscire, parlare con la gente, rischiare la notte, il vino, la malinconia. Io invece non esco da un secolo, e passo le mie serate con la testa china sul telefono ad aspettare una notifica che mi svolti la vita. Un messaggio, una mail, un like. Lo so benissimo che quel benessere dura solo per qualche minuto, poi ricomincio.

Dove ero rimasto? A sì, ti stavo dicendo che sto bene.

Cioè, mica tanto bene, Marika. Non pensare a quello che dicono gli altri. A quello che si vede su Facebook. Loro vedono la loro realtà, e io chi sono io per fargli credere il contrario? Li assecondo, in fondo va bene anche a me. Oggi ho rivisto Francesco e ad un certo punto, non so per quale motivo, mi ha chiesto “Secondo te, cos’è la felicità?”. Io l’ho guardato come uno che non capisce nulla di macchine guarda un motore in panne. Lui ha insistito. “Allora, cos’è la felicità: io dico che, per te, essere felici vuol dire morire famosi”. Mi ha fatto sorridere. “Perché dovrei morire famoso se famoso posso diventarlo prima?” – gli ho risposto. Ma mi sono accorto subito che era una risposta sbagliata. Che avevo confuso la felicità con la fama, quella effimera che sto toccando. Ero troppo curioso di chiedergli, allora, cosa fosse per lui la felicità. Mi ha detto la frase più banale del mondo, e non starò qui ad annoiarti con una simile risposta. Che, per dirla tutta, è la migliore possibile al mondo.

Sai Marika, credo che la solitudine si senta più forte quando devi prepararti qualcosa da mangiare. Da quando non ci sei più ho perso il gusto di cucinare, e l’unica vera scommessa è quella di imbastire una cena decente con quel poco che c’è in frigo. A volte basta una scatoletta di tonno e un uovo per ricordarmi che sono un cazzo di egoista. Mi mancano le sere in cui cucinavamo insieme. Mi manca vederti tagliare i pomodori. Quando ti toglievi prima tutti i braccialetti e gli anelli, per sembrare la perfetta donna di casa che non sei. Eppure quella zuppa di cicerchia ti riusciva così bene, forse per via del segreto sul soffritto che ti ha tramandato tua madre.

Ci ho provato a rifarlo, sai? Ma senza il racconto di tua nonna che insegna a sua figlia quali sono le dosi giuste di olio, cipolla, sedano e pomodoro per il soffritto perfetto, non è venuto così bene. Se penso alle zuppe mi viene in mente anche quell’osteria dove siamo stati felici e ci siamo resi conto di esserlo. Ricordo ancora la faccia che facesti quando ti diedi il regalo di Natale. Non potevo aspettare, e così tirai fuori la scusa che i baresi i regali li danno l’8 dicembre nel giorno di San Nicola.
Abbracciasti quella borsa per tutta la sera, mentre la signora continuava a portarci ogni tipo di zuppa: cipolla; fagioli cannellini e cardoncelli; zucca gialla; polpettine e lenticchie.

Ti sorpresi con la scusa del fuori menù, un trucco che in pochi conoscono, ma che fa sembrare tanto figo. Sono sempre stato un figlio di puttana, lo ammetto. Ma tu sorridevi e il mondo era bello. Non so se certe cose me le ricordo perché sono veramente indimenticabili oppure perché quando sei innamorato e felice ti sembra straordinaria persino la zuppa di cipolla. E anche se oggi mangio tonno in scatola, ti prometto che tornerò a sorprenderti con pensieri fuori stagione e zuppe fuori menù.

O forse ti sorprenderò con una lettera fuori tempo, spedita nella notte in cui ho deciso di tornare a scrivere davvero. Di lasciare ad altri questo tempo frettoloso e viziato. Un tempo che vuole tutto e subito, che non sa più aspettare, che chiede certezze e visualizzazioni. Che se potesse riempirebbe tutti i vuoti. E invece è proprio nel vuoto la bellezza. Nell’attesa. Quella di chi ama. Quella di chi aspetta. Quella di chi non potrà risponderti mai.

Mi manchi, Marika.