Non ho mai saputo cucinare ma ho deciso che questa volta lo farò per te. E sì, perché ho come l’impressione che ti stia perdendo, mi stai scivolando via insieme a quest’anno balordo, pieno di momenti di gloria effimera. Riguardo le foto su Facebook, come se quelle storie, così le chiamano quelli bravi (quelli che si riempiono la bocca di Storytelling), non le avessi vissute io. Sorrisi smaglianti e mari starnucenti, tramonti a nord est e bambini avvinghiati alle mie spalle.
Che cazzo di vita ho vissuto, agli occhi degli altri. E tu sei qui che mi guardi e pensi: “Quando torneremo a parlare di cose futili?”. Quando torneremo a chiederci se nelle orecchiette con le cime di rape ci va o non ci va l’acciuga, perché ognuno ha le sue teorie, e io no all’acciuga non ci rinuncio perché è tutto lì il segreto del soffritto e del sapore che tanto piace a noi pugliesi.
Sono nato a Bari, ma ho vissuto ovunque: dovrei essere cittadino del mondo e invece mi sento semplicemente apolide, è il lato oscuro della medaglia. Viaggiare mi ha aperto la mente, ma le piccole città medioevali del Centro Italia, dove ho passato i miei ultimi 10 anni, mi hanno reso pauroso, come se uscire da quelle mura fosse un rischio troppo grande. Una volta, quando guardavo il mare della mia città, pensavo all’infinito, a tutte le possibilità che avevo di scappare, di crearmi un nuovo futuro, un domani migliore o quantomeno diverso.
Oggi respiro a fatica, mi viene il mal di mare, annaspo tra pensieri negativi. Forse ho messo troppo olio, non posso sbagliare anche questa volta. Mi stai guardando con le braccia conserte e un sorriso di fiducia e circostanza. Non sei convinta nemmeno tu di quello che può venir fuori, mi sono giocato la carta del piatto tipico, per rimarcare il mio legame con questa terra, come quando scatto una foto e la metto su Instagram con una frase romantica. In fondo la mia città si presta a tutto questo: alla malinconia, alla poesia di chi è andato via e un giorno tornerà. Forse.
Versi un bicchiere di vino in due calici improvvisati. Dovremmo rivedere questo posto, se è quello in cui abbiamo deciso di vivere. Dovremmo smetterla di essere “ambiziosi”. Ambire, a volte, vuol dire non realizzare e io voglio fermarmi a pensare che tu sei casa mia. Assaggio il soffritto, non è poi così male.
Lo so, è capodanno, e magari ti aspettavi di più. Ma non sono un grande chef, ho solo rubato qualche segreto a mia madre, che oggi non cucina più. Si occupa di “strategia” come direbbero i markettari, tra una cura e l’altra. Sai quelle cure brutte che non si nominano, soprattutto in un giorno di festa? Ecco, quelle. E da grande stratega mi ha consigliato di mettere le rape nell’acqua di cottura, perché sua nonna faceva così. Poi mi ha detto anche di mettere una scorza di limone nell’olio, ma non ha saputo spiegarmi perché.
Certe cose devi prenderle così, magari con la prima stupida ragione che passa, sono cose che devi dare per assodate. Ti guardo e sei bellissima, anche se i tuoi occhi sono un po’ stanchi. Deve essere colpa di questo maledetto dicembre, quello in cui ho rischiato di perderti. L’albero di Natale ti illumina e il tuo sorriso esalta un piccolo neo sul labbro sinistro. Bevi un sorso di vino e ti aggiusti i capelli, un vezzo inconfondibile, vuoi coprire un piccolo ma meraviglioso difetto che in pochi conoscono e che non svelerò.
Penso ancora a mia madre che capelli non ne ha più e va in giro per casa con un cappellino. E sorride. Che ironia, quella donna.
La cena è pronta, amore mio. Prendiamoci del tempo. Scegliamo noi quando deve arrivare la mezzanotte, non saranno i trenini della tv a decidere quando dobbiamo stappare la nostra bottiglia.
Rimandiamo, perché nessuno ci vieta di brindare tra qualche settimana, o persino tra qualche mese. Quando le cose andranno meglio, perché io avrò ritrovato il coraggio di affrontare quel mare e quell’orizzonte a testa alta e di non mentire più a me stesso.