Non ti sentivo da circa due anni, da quando avevo deciso di mettere il cuore in un cassetto e riaprirlo mai più. Avevo deciso, questa volta lo avrei fatto. Fra noi non avrebbe mai funzionato, lo sapevamo entrambi, ma tu mi hai mandato un messaggio su facebook come se fosse il giorno del mio compleanno. Era il 3 Aprile e mancavano ancora ventuno giorni al mio compleanno per ricevere il solito messaggio di auguri che scrivevi a gola stretta, riempiendolo di ricordi bellissimi del nostro amore che era passato e non poteva tornare.
Era tradizione scrivere qualcosa di bello il 5 febbraio, sei un acquario. Ogni anno, ogni 5 febbraio, il primo pensiero della giornata naufragava nel tuo ricordo, cercando di chiamare la tua attenzione ad un oceano di distanza.
Mi hai scritto senza pensarci due volte, avevi letto su facebook che ero arrivata a Parigi e che sarei rimasta il tempo necessario per ascoltare le tue parole, le scuse che desideravo uscissero dalla tua bocca per avermi abbandonata come promesso.
– Hey.. Come stai?
…
– Che fai non rispondi? Ho saputo che sei a Parigi …
…
Continuavo a visualizzare impietrita, domandandomi perché mi avessi scritto a distanza di un mese dal mio compleanno.
Vivevi in Francia già da due anni, per completare il percorso di studi che avevi sempre sognato. Nell’estate dei miei quindici anni volevi diventare un ingegnere meccanico ma gli aerei ti hanno sempre portato lontano con il cuore. Ero abituata a sentirti dire che te ne volevi andare, via, da me e da tutto il resto. Non l’ho mai accettato ed è grazie a te che mi s’intrecciano le budella quando accade ancora oggi qualcosa di analogo.
Continuo a ignorarlo, immaginandolo aldilà di questo schermo, con le mani che non trovano pace nell’attesa di una risposta.
Sentirti, dopo così tanto tempo.
Ti ricordi quando nelle nostre estati d’amore andavamo su in panoramica, dove le colline separavano il cielo dal mare per lasciare spazio ai nostri baci? Salivamo la notte per guardare la stelle e contare gli aeroplani che volavano sopra noi. Sembravano lucciole, lo ribadivi ogni notte.
Scappavo di casa tutte le sere, desideravo scoprire cosa il tempo riservasse per noi, quali regali ci avrebbe portato la notte. Mia madre nel frattempo ci spiava dalla finestra che si affacciava sulla strada principale, guardandomi crescere i sentimenti.
Mi aspettavi impaziente, come fanno tutti i ragazzi giovani con i loro piccoli amori.
– Hey.. ti prego rispondi, dai, cosa ti costa?
Insisti. Non sei cambiato di una virgola, eh. Il solito bastardo, la vuoi avere sempre vinta tu. Sai benissimo quanto mi è difficile ignorarti e anche questa volta sai che ti risponderò.
– Ciao Marco, cosa vuoi?
– Volevo sapere quanto rimani a Parigi.
– 5 giorni.
– Allora ho tempo di strapparti un bacio prima della partenza?
Maledetto. Maledetto tu e maledetta io, maledettissimamente me.
– Non penso tu possa strapparmi nessun bacio, non c’è più tempo, lo sai.
– Allora posso accompagnarti al museo, a teatro, a mangiare un croissant? dicono la senna sia romanticissima la sera.
– Marco. Non ho tempo, sono a Parigi per lavoro e tu vivi a un’ora di treno da qui, come pensi sia possibile passeggiare lungo la senna?
– Emma, ti ricordi quando in motorino guidavo 30 minuti solo per portarti sulle colline, la notte, per guardare le stelle?
– Ricordo benissimo ma non è la stessa cosa.
Rimasi immobile attendendo una sua risposta. Tardò una notte intera.
La mattina dopo mi disse che sarebbe arrivato con il primo treno e ci saremmo incontrati alla fermata metro Operà elle 3 in punto.
– Mettiti un bel vestito Emma, oggi Parigi è tutta per noi.
Chissà cosa mi spinse a dargli per l’ennesima volta la possibilità di rendermi felice. Chiesi a Michelle il vestito più bello che si era portata da New York, pregandola e promettendole di restituirglielo integro, più bello di prima.
Capii l’importanza dell’incontro con Marco, la necessità di questo bacio promesso a Parigi.
Le raccontai la nostra storia davanti ad una tazza di caffè americano, quello solubile che trovammo nella cucina dell’airbnb in cui alloggiavamo. Mi guardò teneramente e accennò un “si” con la testa. Misi il vestito blu e mi preparai ingerendo ogni ricordo che avevo messo nel cassetto. Ero pronta a incontrarlo a Parigi.
Camminai per chilometri per calmare il mio cuore ribelle. Comprai due croissant al cioccolato canticchiando e ammirando le vie della ville lumière che si snodovano al mio passaggio. Arrivai a Operà con qualche minuto di ritardo, immaginandolo in ogni dettaglio.
Nella mia mente era sempre lo stesso, con i capelli arruffati, lo sguardo tagliente e le labbra carnose. Lo immaginavo seduto sulla ringhiera delle scale della metropolitana con in mano due croissant. I miei li avevo presi per non arrivare a mani vuote.
Passarono 2 ore e Marco non era ancora arrivato mentre il cielo cominciava a ululare.
Il sole che mia aveva accompagnato fino a Operà si era nascosto dietro una coltre di nuvole crespe e nere.
L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile ribadiva una voce di donna, in francese. Provai a chiamarlo mille volte fino a quando la pioggia cominciò a sgretolarsi come tutte le mie speranze di vederlo apparire.
Piovve per altre due ore, mentre io mi facevo cullare da Parigi, condannandolo per avermi spezzato il cuore per l’ennesima volta. Mi aveva lasciata sola a Parigi con due croissant al cioccolato e un vestito blu.
Non dimenticherò mai il suo sorriso, le nostre estati d’amore, la panoramica e tutto quello che di meraviglioso c’è nell’adolescenza. Michelle mi vide arrivare in casa bagnata fino alla punta dei capelli, con lo sguardo pieno di tutti i miei rimorsi, di tutte le parole che avrei voluto urlargli addosso, camminando lungo la senna.
Mi accasciai sul tappeto del salotto in silenzio quando ad un tratto sentii Michelle avvicinarsi con la busta scricchiolante ancora piena dei due croissant rimasti intatti. Mi spogliò dal mio dolore, da quel vestito blu che lei stessa non avrebbe più indossato perché rappresentava un amore finito a Parigi, un amore del quale, purtroppo, non mi sono mai pentita.
Si avvicinò con un’altra tazza di caffè americano, sempre lo stesso, quello solubile e mi abbracciò. L’amore che avevo sempre desiderato era diventato polvere, si era appoggiato sugli spigoli dei miei ricordi e Michelle con quei due croissant al cioccolato mi salvò dal chiamarlo ancora una volta.
Era finita, insieme a lui anche la mia debolezza, mentre fuori dalla finestra splendeva una luna piena sopra i tetti di Parigi.