Camminammo per tutta la sera, abbagliati dalle luci sgargianti della città, di quella che un tempo portava il nome di Costantinopoli. I passi fragili della mia emozione si facevano largo tra le strade affollate, mentre lui con un timbro di voce calda e soffusa raccontava storie veloci. Chiacchierammo di come le donne turche brucino passione e di come il cibo di strada mischi origini diverse e sapori unici.

Parlando passò il tempo necessario per dimenticare ogni singola parola, ogni suono. Ancora una volta, in silenzio. Estasiati dalla forza della città. Istanbul vibrava, pulsava sotto i nostri piedi.

Lui alto e forte, con gli occhi di quelle persone che non sanno parlare ma sanno abbracciare, dominava il mio tempo, decidendo dove, come e quando i miei occhi avrebbero incontrato ancora la novità. Noi donne tendiamo a lasciarci completamente andare. Raramente, ma succede. Lasciamo il comando per sentirci libere, libere dalla responsabilità di vivere secondo le aspettative. Alla mia destra trovavo sempre palazzi magnifici, case fatte di legno e cieli densi, avvolti dal richiamo della preghiera. Mentre, la mia sinistra era al suo fianco, cercando di tenere il tempo della metropoli che viveva a un ritmo insostenibile.

Ci fu un momento soltanto dove sentii d’aver abbandonato ogni tipo di forza, ogni resistenza aldilà del mare. Il mio intreccio assumeva lo stato d’acqua liquida, il mio stomaco giurava di voler mangiare aldilà del gusto. Mi propose di passeggiare ancora e raggiungere il posto migliore della città per mangiare un Kokoreç. La promessa del sapore mi fece oscillare la testa con dolcezza accennando consenso, liberando l’ansia che si era raggomitolata ai bordi della mia mente. Mi portò vicino al mare, più precisamente in quello che un tempo era un villaggio di pescatori, per assaggiare questa pietanza povera di materia ma ricca di corpo. Con lo sguardo fisso sulla carne che grigliava lentamente, attendevo il mio Kokoreç.

nostalgia-spezie

Istanbul – foto Kristi Veliaj

-Ci vuoi la cipolla? Chiese in turco la venditrice paffuta.

-Sì grazie. Risposi imbarazzata, scoprendo in lui un sorriso malizioso.

La venditrice accenna qualche parola in turco, non comprendo e domando una traduzione sincera.
-Dice che le donne vogliono sempre la cipolla nel loro panino. Ride.

Erano dieci anni che non assaporavo il gusto della carne, erano dieci anni che avevo rinunciato alla carne perché mi ricordava un dispiacere. Si era creato dentro me un rifiuto inspiegabile che ad un tratto si sciolse come neve al sole. Afferrati i panini ancora caldi, calzò un passo deciso e si diresse al bar più vicino. Ordinò una bevanda fatta di acqua e yogurt salato, quella stessa bevanda che dissetava le estati della mia infanzia.

Era felice di vedermi libera.

Indicò un posto a sedere per due, s’affacciava sul Bosforo.

Seduti con gli occhi rivolti a quello che sarebbe stato il futuro prossimo, mangiammo il nostro pasto carnivoro.

Avevo accantonato il viaggio da troppo tempo, forse perché questo era il momento giusto. Era arrivato, io c’ero. Mi sentivo a casa, come se ad attendermi ci fosse stato un parente stretto, un amico di vecchia data, una famiglia che non conoscevo.

Esistono parole per esprimere la gioia d’un incontro rimandato per lungo tempo?
No, non sto parlando della carne in sé ma del gusto. Il gusto della mia terra, il gusto che avevano le cene in terrazza organizzate dalla nonna, orgogliosa di servire lo stesso börek che sfornava in occasioni speciali.

Il vento che s’alzava dal mare e i suoni di una lingua sconosciuta, accesero la mia gratitudine. Ero pronta a lasciar andare per pochi istanti quel controllo viscerale che spesso stringe le mie mani a pugno.

Con gli occhi pieni di uno spazio sconosciuto e in bocca il sapore di più di una storia d’amore, più d’una per farmi arrivare qui, oggi, con questa nostalgia, lo guardai sorridendo. Domandai una sigaretta e continuai a sorridere a denti spessi, ammirando Istanbul.

Era arrivato quel giorno, finalmente. Era arrivato e io mi sentivo finalmente sazia. Sazia di ammettere che dopo quel panino mancava solo un bacio, sazia della mia storia, di un orgoglio antico, sazia del suo corpo a fianco al mio.